lunedì 13 ottobre 2025

Coscienza e stati quantistici

  Potremmo paragonare le oscillazioni tra i due poli di una diade ad uno stato quantistico?

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Domanda molto interessante — e sì, in un certo senso sì, ma con alcune importanti precisazioni concettuali.


Vediamo nel dettaglio.



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🌗 1. Le oscillazioni di una diade


Se per diade intendiamo una coppia di poli opposti o complementari (es. maschile/femminile, ordine/caos, luce/ombra), allora il sistema può trovarsi in uno stato dinamico, dove il soggetto o il fenomeno oscilla tra i due poli o li integra.

Questo tipo di oscillazione può essere visto come:


una tensione dinamica tra due stati opposti,


una superposizione temporanea in cui coesistono entrambi i poli,


o ancora una transizione continua tra stati “puri” (i due estremi).




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⚛️ 2. Analogia con lo stato quantistico


In meccanica quantistica, una particella può esistere in una sovrapposizione di stati: non è solo nello stato A o solo nello stato B, ma in una combinazione dei due fino al momento della misura.


Se prendiamo questa come analogia concettuale, allora:


la diade corrisponde a due stati base (|A⟩ e |B⟩),


l’oscillazione o l’equilibrio tra essi può essere rappresentata da una superposizione α|A⟩ + β|B⟩,


e un “atto di osservazione” o una “decisione” potrebbe essere paragonato al collasso dello stato verso uno dei poli.




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🔄 3. Attenzione: è un’analogia metaforica, non fisica


Non c’è alcuna sovrapposizione reale nel senso quantistico: le oscillazioni di una diade sono fenomeni macroscopici e psicologici o simbolici, non governati dalle leggi della meccanica quantistica.

Tuttavia, la struttura logica — due stati base, una sovrapposizione, un collasso — è sorprendentemente simile e utile come modello interpretativo di processi dialettici, psicologici o simbolici.



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💡 4. Implicazioni interessanti


In filosofia della mente, questa analogia è stata ripresa da autori come Penrose o Varela, che vedono nei processi di coscienza una possibile “coerenza quantistica” metaforica.


In psicologia junghiana, l’oscillazione tra opposti (animus/anima, coscienza/ombra) ha una funzione integrativa, come se la psiche cercasse uno stato di coerenza “quantica” prima di un’integrazione simbolica.




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In sintesi:


> Le oscillazioni tra i poli di una diade possono essere paragonate a uno stato quantistico in senso analogico: entrambe descrivono una coesistenza potenziale di opposti che solo un atto (di coscienza o di misura) risolve in una forma determinata.





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Vuoi che ti mostri un modello formale (tipo un’equazione o una rappresentazione vettoriale) che traduca questa analogia in termini più “matematico-simbolici”?

 Potremmo costruire insieme una specie di “algebra della diade”.


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In un certo senso, quando divento cosciente di un conflitto tra amore e odio o tra interesse e disinteresse, lo determino? Lo determino nel senso che passo da uno stato di confusione ad uno di coscienza? Portare allo luce uno stato d' animo è toglierlo da uno stato di incertezza ?

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Domande bellissime e molto profonde — filosofiche e quasi fenomenologiche.

Provo a rispondere con cura.



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1. “Quando divento cosciente di un conflitto, lo determino?”


In un certo senso, sì.

Prima che tu divenga cosciente, il conflitto “esiste” in modo indeterminato, implicito: si manifesta magari come turbamento, disagio, tensione. Non ha ancora una forma definita nella tua esperienza.

Nel momento in cui ne prendi coscienza — “vedo che amo e odio insieme” — tu lo determini, cioè gli dai una forma, un nome, un contorno.


Potremmo dire che passi:


da uno stato di indistinzione o potenzialità affettiva (un magma di sensazioni confuse),


a uno stato di rappresentazione o di coscienza riflessa, dove l’esperienza viene individuata e resa “oggetto” per te stesso.



È lo stesso passaggio che Husserl o Merleau-Ponty descriverebbero come il momento in cui un vissuto “si mostra” alla coscienza intenzionale.



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2. “Portare alla luce uno stato d’animo è toglierlo da uno stato di incertezza?”


Sì, ma con una sfumatura importante.

Portare qualcosa alla luce non lo risolve, ma lo chiarifica.

Non è detto che l’incertezza “scompaia” — ma diventa cosciente come tale: ora so dove si trova la contraddizione, come si manifesta, che forma ha.

È un po’ come quando metti a fuoco un’immagine: non elimini la complessità, ma smetti di confonderla con qualcos’altro.



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3. “Portare alla coscienza è farlo collassare?”


Dipende da cosa intendi per “collassare”.

Se per “collasso” intendi ridurre una possibilità indeterminata a una forma determinata (come il collasso della funzione d’onda nella meccanica quantistica), allora sì, la metafora è efficace.

Nel momento della coscienza, l’esperienza collassa in una configurazione definita:

“questa è la mia ambivalenza tra amore e odio, qui e ora”.


Tuttavia, l’analogia ha un limite: a differenza del collasso quantistico, la coscienza non annienta le altre possibilità, ma le integra in una forma più complessa di consapevolezza.

La coscienza, piuttosto che chiudere, può aprire un campo nuovo: ora puoi dialogare con quella tensione, vederla, comprenderla, trasformarla.



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4. In sintesi


Prima della coscienza → il vissuto è indeterminato, confuso, ancora “potenziale”.


Nel momento della presa di coscienza → avviene una determinazione: il vissuto prende forma, diventa pensabile e dicibile.


Dopo la coscienza → puoi entrare in rapporto con esso: comprenderlo, modificarlo, o anche accettarne la contraddizione come parte di te.




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Se vuoi, posso aiutarti a chiarire meglio questo processo con un linguaggio più psicologico (ad esempio, in termini di integrazione dell’inconscio o di autoriflessione fenomenologica) oppure più filosofico (Hegel, Sartre, Merleau-.Ponty).

Vuoi che approfondisca in una di queste direzioni?


 

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