L’espressione di Jean-Paul Sartre, “siamo condannati a essere liberi”, compare nel suo capolavoro L’Être et le Néant (L’essere e il nulla, 1943) ed è una delle frasi più celebri dell’esistenzialismo
Per Sartre, l' esistenza precede l' essenza e l’uomo non ha una natura o un’essenza predefinita (come avviene invece in molte filosofie o religioni).
Non esiste un “progetto” divino o naturale che stabilisca cosa debba essere l’uomo.
> Prima l’uomo esiste, poi — attraverso le sue scelte — decide chi è.
Questa è la base dell’esistenzialismo: ogni individuo costruisce sé stesso con i propri atti.
Da questa visione deriva che l’uomo è radicalmente libero:
ogni volta che agiamo, scegliamo — e scegliendo, definiamo non solo noi stessi, ma anche l’immagine di ciò che l’uomo “dovrebbe essere”.
Tuttavia, questa libertà non è un privilegio piacevole, ma una condanna:
“Condannati”, perché non possiamo non essere liberi; anche non scegliere è una scelta.
Non esiste un’autorità esterna (Dio, natura, destino) a cui delegare la responsabilità delle nostre azioni.
Siamo interamente responsabili di ciò che diventiamo e del mondo che costruiamo con le nostre scelte.
> Non possiamo fuggire dalla libertà; essa è parte costitutiva della nostra condizione umana.
Questa libertà assoluta porta con sé:
angoscia (angoisse): il peso di dover decidere senza punti di riferimento assoluti;
responsabilità totale: ogni scelta implica un modello universale, come se scegliessimo per tutta l’umanità;
autenticità o cattiva fede: possiamo vivere accettando questa libertà, oppure nasconderci dietro ruoli, scuse, convenzioni per non sentirne il peso.
In sintesi, siamo “condannati a essere liberi” perché non abbiamo creato noi stessi, ma, una volta esistiti, siamo interamente responsabili di ciò che diventiamo.
Non possiamo sfuggire alla libertà, e questa inevitabile responsabilità è al tempo stesso il peso e la dignità dell’esistenza umana.
Vediamo allora come la “cattiva fede” (mauvaise foi) si collega alla libertà e alla famosa frase “siamo condannati a essere liberi”.
La cattiva fede per Sartre è l’atteggiamento con cui l’uomo cerca di sfuggire alla propria libertà e responsabilità.
In pratica, è una forma di autoinganno: fingiamo di non essere liberi, di essere determinati da qualcosa d’altro (la nostra natura, il nostro ruolo, le circostanze).
> È un modo per non affrontare l’angoscia della libertà.
Uno dei casi più famosi che Sartre descrive è quello del cameriere di caffè (L’essere e il nulla, Parte I, cap. II).
Il comportamento
Il cameriere è troppo “cameriere”:
Si muove in modo esageratamente preciso e servile,
Parla e gesticola come se stesse recitando una parte.
Il significato
Sartre dice che questo uomo si identifica totalmente con il suo ruolo, come se fosse solo un cameriere e non un essere libero.
Ma in realtà non è mai solo una “cosa” o una “funzione”:
è sempre una coscienza libera, capace di scegliere di esserlo o meno.
> Dunque, fingendo di essere solo un cameriere, mente a sé stesso: vive in cattiva fede.
Altri esempi di cattiva fede sono:
La donna al primo appuntamento che lascia la mano dell’uomo nella sua, fingendo di non accorgersene, per non scegliere se accettare o rifiutare il suo desiderio.
Chi si rifugia nei ruoli sociali o nelle scuse (“Non posso farci nulla, sono fatto così”, “È il mio dovere”, “Sono solo un ingranaggio”).
In tutti questi casi, l’individuo rifiuta la propria libertà, si nasconde dietro un’“essenza” già data o una situazione esterna.
> Proprio perché siamo condannati a essere liberi, la cattiva fede è sempre una fuga impossibile.
Possiamo illuderci di non essere liberi, ma non possiamo davvero smettere di esserlo.
Sartre dice che anche quando cerchiamo di negare la libertà, stiamo comunque scegliendo di farlo.
Quindi la libertà è ineliminabile: non possiamo sottrarci a essa, possiamo solo vivere autenticamente (riconoscendola) o inautenticamente (negandola).
In sostanza, siamo condannati a essere liberi anche di non esserlo.
Dobbiamo riconoscere che anche il rifiuto della libertà è una forma di libertà. Possiamo scegliere di delegare, di sottometterci, di rinunciare a decidere — ma questa rinuncia stessa resta una scelta, e quindi un atto libero.
E questo racchiude tutta la tensione tra il desiderio di sicurezza e la vertigine della libertà, una diade ineliminabile.
Nell' attuale diffusione del fascismo, vedo molta gente che sceglie di non essere libera. "Ci pensi lui o lei!"
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