martedì 24 settembre 2024

La relatività del tempo

La relatività del tempo

Il tempo non è lo stesso per tutti. Nessuno è immune dalla relatività di Albert Einstein, nemmeno sulla Terra.

Quando Einstein presentò la sua teoria della relatività ristretta, nel 1905, la nostra concezione di universo cambiò per sempre. Prima di lui, gli scienziati descrivevano ogni “punto” dell’universo utilizzando solo quattro coordinate: le tre posizioni spaziali più il tempo, per indicare in quale momento si era verificato un determinato evento. Tutto questo cambiò quando il celebre scienziato capì che se ti muovi rispetto a un altro osservatore, invecchierai meno di qualunque altra cosa rimasta ferma. Ogni volta che un osservatore si muove nell’universo rispetto a un altro, sperimenterà una dilatazione del tempo. Il suo orologio scorrerà più lentamente rispetto all’osservatore fermo. Questa grande verità è stata messa alla prova diverse volte, nell’ultimo secolo, anche utilizzando orologi sugli aerei.


Quando Einstein presentò per la prima volta la sua teoria della relatività ristretta, c’era un elemento mancante: non considerava l’attrazione gravitazionale, la gravità. Non aveva ancora idea che la vicinanza ad una grande massa potesse alterare anche lo scorrere del tempo. A causa della rotazione e della gravità attrattiva di ogni particella che compone la Terra, il nostro pianeta si gonfia all’equatore e viene compresso ai poli. Di conseguenze, l’attrazione gravitazionale della Terra ai poli è leggerissimamente più forte (di circa lo 0,4%) rispetto all’equatore. L’obiettivo originale di Einstein, però, era di utilizzare orologi per verificare la validità della sua teoria. Fu solo negli anni Cinquanta che si riuscì a testarne l’efficacia, dato che gli orologi al quarzo o meccanici non erano affidabili per questo tipo di esperimenti. Fu così che venne creato l’orologio atomico: l’idea fu quella di utilizzare la frequenza vibrazionale di un atomo per tenere il tempo.


Fu grazie all’esperimento di Hafele-Keating che si riuscì a verificare con estrema precisione gli effetti del campo gravitazionale terrestre sullo scorrere del tempo. Era il 1971. Gli astronomi Richard Keating e Joseph Hafele presero tre orologi atomici. Ne lasciarono uno in aeroporto, gli altri due se li portarono a bordo di due voli intorno al mondo, uno in direzione opposta all’altro. Quello che volava verso est andava anche nella stessa direzione della rotazione terrestre. E poiché il movimento dell’aereo e la rotazione del pianeta andavano nella stessa direzione, anche le velocità si sommarono: per le sue lancette sarebbe trascorso meno tempo. L’altro venne portato a bordo di un aereo che si muoveva verso ovest, quindi contro la rotazione terrestre.

Al loro ritorno i tre orologi non erano più sincronizzati: quello che aveva viaggiato verso est (nella stessa direzione della rotazione terrestre) era indietro di 59 miliardesimi di secondo, rispetto all’orologio rimasto in aeroporto. Quello che aveva viaggiato verso ovest (e quindi in senso contrario rispetto alla rotazione terrestre) era avanti di 273 miliardesimi di secondo. Sono ovviamente valori impercettibili, ma che dimostrarono ancora una volta quanto avesse ragione Einstein.

Ma io ritengo che le cose non stiano esattamente così. Non si tratta di orologi. Ma della coscienza di chi misura.

In altri termini, non si tiene conto che tempo e coscienza sono… la stessa cosa.

Quindi, la relatività non riguardo solo due marcatori di tempo che viaggiano a velocità differenti. Ma la coscienza stessa, che è composta da due “marcatori” che devono essere sfasati.

La sfasatura, il dualismo, fa sì che tutto appaia e sia relativo. Del resto, tutti sanno ed esperiscono la relatività del tempo nella vita quotidiana. 

La relatività del tempo è questo sapere-esperire della coscienza. Che non può conoscere veramente se stessa, che non coincide con se stessa e che non può ripetere due volte la stessa misurazione. Non troverete mai due misure del tempo-coscienza che siano esattamente uguali.

Quando un fenomeno raggiunge e supera una certa soglia diventa un'altra cosa. Questo è il senso del divenire, che è il senso del tempo-coscienza.

Un attimo dopo, siamo un' altra cosa, anche se abbiamo l' apparenza della continuità.

C' era un filosofo, Henri Bergson, che distingueva tra il “tempo della scienza” e il “tempo della coscienza”. Il primo è oggettivo e misurabile, come una collana di perle, mentre il secondo è soggettivo e fluido, simile a una melodia.

In realtà, la distinzione non esiste. Il fluire del tempo è come le onde del mare o le onde elettromagnetiche: una dietro l' altra, in apparenza uguali, ma tutte diverse.




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