Un giorno fu chiesto al Buddha: "Venerabile Gotama, esiste un'anima?"
Il Buddha rimase in silenzio.
"Allora, venerabile Gotama, non esiste un'anima?"
Il Buddha rimase in silenzio.
Essendo convinto che non esistesse un sé eterno, il Buddha non rispose la prima volta; e questo ci pare logico. Ma perché non rispose la seconda volta?
Il fatto è che le due domande erano concepite da qualcuno che, come tutti noi, ragionava in maniera condizionata, e pretendeva che le cose fossero in un modo o al contrario. Si chiama mente dualistica - una ragione che opera contrapponendo nettamente i concetti: bianco o nero, alto o basso, bene o male, essere, non-essere, vita e morte, sì o no, ecc. Ma la realtà ultima, quella cui accennava la domanda, non è qualcosa di cui possa darsi il contrario.
Questo significa che la nostra mente non è in grado di concepire niente che non sia limitato dalle categorie antinomiche. Parlare di un'esistenza o non-esistenza di un'anima o di Dio significa porre la domanda in modo sbagliato. Quando parliamo di questi problemi, dovremmo dismettere la solita mente razionale, che divide tutto in due parti distinte e contrapposte.
Ogni volta che facciamo un'affermazione in un senso, ecco che si affaccia il senso opposto. Non siamo capaci di vedere le due cose insieme. Ecco perché smettere di parlare sarebbe la soluzione migliore. Questo tipo di silenzio sarebbe comunque più vicino alla realtà di quanto non siano le risposte antinomiche.
Ma allora dobbiamo smettere di porci il problema? No, dobbiamo smettere di darci le solite risposte. E lasciare uno spazio in cui si possa introdurre un po' di luce.
I teologi non lo hanno mai capito e sono migliaia di anni che arzigogolano sugli attributi di Dio - la rana in fondo al pozzo che vorrebbe discutere del mare.
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