Partendo dalla mia definizione, la teoria delle diadi come strutture di relazione oscillatoria tra opposti complementari si muove in un campo dinamico: ciò che esiste si dà nella tensione viva tra poli (es. presenza/assenza, soggetto/oggetto, forma/vuoto, ecc.).
Lo Shikantaza, invece, è una pratica che non cerca di risolvere né di armonizzare questa oscillazione, ma di abitarla radicalmente fino al punto in cui i poli cessano di essere opposti.
Ecco come si possono mettere in rapporto, punto per punto:
---
1. Dalla diade all’unità pre-dualistica
Nella mia teoria, la diade è un campo oscillatorio: i poli si co-definiscono e si rigenerano continuamente.
Nello Shikantaza, questa oscillazione è lasciata accadere senza interferenza. La mente non tenta di “fermare” la diade, ma di non aggiungere un terzo termine (il giudizio, l’interpretazione).
Con il tempo, la consapevolezza può esperire la diade come un solo movimento non-duale: non due poli che si alternano, ma un’unità che si manifesta come oscillazione.
👉 Potremmo dire che Shikantaza è la diade vissuta senza centro di gravità.
---
2. Oscillazione e quiete
Nella diade, l’oscillazione è essenziale; nello Shikantaza, si entra in una quiete temporanea che non è opposta al movimento.
Questa “quiete nel movimento” è proprio ciò che la diade, spinta al suo limite, tende a rivelare: quando la polarità viene accolta interamente, l’alternanza si mostra come stabilità fluida.
In termini della mia teoria, la pratica potrebbe rappresentare il punto neutro o zero dinamico della diade — non la soppressione di un polo, ma la trasparenza del campo stesso.
La mia stessa teoria delle oscillazioni nasce da uno stato del genere, in cui si vede la dinamica delle forze.
---
3. Complementarità e trascendimento
Ogni diade implica complementarità: luce/ombra, pieno/vuoto, sé/altro.
Lo Shikantaza, nel suo “solo sedere”, dissolve il bisogno di scegliere o mediare tra i poli. Invece di cercare equilibrio, si lascia che entrambi i poli si rivelino come manifestazioni della stessa origine.
Questa è una trascendenza immanente della diade — non fuga, ma apertura all’interezza del processo.
---
4. Diade come via, Shikantaza come rivelazione
La teoria delle diadi descrive una dinamica cognitiva e ontologica; lo Shikantaza è una pratica esperienziale diretta.
Potremmo vedere la mia teoria come un'attività in il omappa del movimento della mente, e lo Shikantaza come l’esperienza del terreno su cui quella mappa si disegna e si cancella allo stesso tempo.
Là dove la teoria osserva l’oscillazione, la pratica la incarna senza concetto.
In sintesi:
> Lo Shikantaza è ciò che accade quando la diade non viene più concettualmente gestita, ma lasciata essere fino a dissolversi nella sua stessa reciprocità. Ecco perché possiamo vedere la pratica zen come una forma di illuminazione: la possibilità di uscire dalla diade stessa!
Faccio però presente che, per quanto noi si stia immobili, la vita non può fermarsi, se non per brevi istanti: infatti il nostro corpo continua a funzionare, così come la nostra mente. Diciamo che non ci lasciamo trascinare. E contempliamo il movimento. Non potrei osservare il movimento se non fossi fermo.
Nessun commento:
Posta un commento