Bertrand Russell diceva che la matematica è l' unica scienza che non sa di cosa parla. Vi faccio un esempio. Tre più due fa sempre cinque. Vero? Però se sommo tre gatti e due topi, avremo una certa dinamica, che vi lascio immaginare. Ma se sommiamo tre uova e due zucchine...fa una frittata! E la differenza tra le due situazioni nessuna equazione ve lo sa spiegare
Diciamo che più che non sapere di che cosa parla, parla di astrazioni. E noi con le astrazioni non ci facciamo nulla.
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Capisco bene la provocazione che stai portando. In effetti Russell – e più in generale la filosofia della matematica – insiste proprio su questo punto: la matematica non parla di gatti, topi o uova, ma di entità astratte, cioè di numeri, insiemi, strutture.
Quando dici “tre più due fa sempre cinque”, in realtà stai affermando una regola logica all’interno di un sistema formale, indipendente dagli oggetti concreti. Se a quel sistema decidi di associare gatti, topi o zucchine, allora entri in un altro livello: quello dell’interpretazione.
3 + 2 = 5 è una verità formale, valida sempre.
3 gatti + 2 topi non fa 5 animali “tranquilli”: lì entra in gioco la biologia, l’etologia, la dinamica predatore-preda.
3 uova + 2 zucchine non fa 5, ma diventa “ricetta”: lì subentra la cultura culinaria.
La matematica dunque non è “inutile”, ma ha bisogno di un contesto di applicazione. Di per sé ti offre uno strumento di astrazione potentissimo (i numeri, le operazioni, le strutture algebriche). Ma senza legarla al mondo concreto, resta appunto un gioco di simboli.
In un certo senso hai ragione quando dici “con le astrazioni non ci facciamo nulla”: se restano pure, non cucini una frittata né descrivi l’interazione gatti-topi. Ma quelle stesse astrazioni, una volta calate nel mondo, diventano modelli: dalla fisica alle finanze, dall’informatica alla cucina molecolare.
👉 Posso provare a mostrarti come la matematica riesce a “parlare” anche della frittata o della caccia del gatto, se vuoi vedere come l’astrazione si traduce in modello concreto. Vuoi che facciamo un esempio “matematico applicato” sul caso gatti e topi o sulla ricetta uova+zucchine?
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Vai con i gatti e i topi.
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Perfetto 😼🐭!
Allora, se restiamo nell’astrazione pura:
3 gatti + 2 topi = 5 animali.
Punto. La matematica non dice altro.
Ma se vogliamo modellare la dinamica gatti–topi, dobbiamo introdurre delle relazioni, cioè non ci bastano più i numeri, ci serve un modello matematico.
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1. Primo modello semplificato (deterministico)
Ogni gatto cattura 1 topo per unità di tempo.
Non ci sono rifugi per i topi, e i gatti non si distraggono.
Con 3 gatti e 2 topi:
Dopo 1 unità di tempo → 2 topi catturati.
Risultato: 3 gatti, 0 topi.
Qui il “+” non è più somma, ma interazione → diventa una funzione del tempo.
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2. Un modello più realistico: equazioni di Lotka–Volterra
Sono equazioni differenziali che descrivono la dinamica predatore–preda:
\frac{dT}{dt} = aT - bGT
\frac{dG}{dt} = cGT - dG
= numero di topi
= numero di gatti
= crescita naturale dei topi (se non ci sono predatori)
= probabilità che un gatto catturi un topo
= quanto il cibo (i topi) aiuta la crescita dei gatti
= mortalità naturale dei gatti
Con queste equazioni non ottieni più “3 + 2 = 5”, ma curve che oscillano: i topi crescono, poi arrivano troppi gatti, i topi calano, e a loro volta i gatti calano perché non hanno più cibo… e così via.
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3. Il senso della provocazione
Quindi, tu avevi ragione: nessuna equazione elementare di somma spiega il caos tra gatti e topi.
Ma la matematica, se la allarghi oltre l’aritmetica, può modellare anche quella dinamica: diventa ecologia matematica.
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Vuoi che ti faccia una piccola simulazione grafica (tipo curva gatti–topi) così si vede visivamente come evolve la storia dei tuoi 3 gatti e 2 topi?
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Per fortuna che i gatti e i topi sanno benissimo che cosa fare senza dover usare la matematica: fanno altri calcoli.
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Bellissimo punto 😄!
Esatto: i gatti e i topi non hanno bisogno della matematica consapevole — non si mettono certo a risolvere equazioni differenziali. Però i loro corpi e cervelli funzionano come se facessero calcoli:
Il gatto stima distanze, velocità, traiettorie quando salta su un topo.
Il topo valuta probabilità di fuga scegliendo il percorso con più chance di scampo.
Entrambi aggiornano continuamente la loro “strategia” in base all’esperienza.
In altre parole, i gatti e i topi fanno calcoli incarnati, non simbolici. Noi li chiamiamo “istinto”, ma in realtà è un’elaborazione informazionale: un processore biologico che ottimizza scelte senza passare dal linguaggio matematico.
La matematica, invece, è lo strumento che gli esseri umani hanno inventato per descrivere astrattamente quegli stessi processi. Il topo non ha bisogno delle equazioni di Lotka–Volterra, ma quelle equazioni possono aiutare noi a capire cosa accade nelle popolazioni di predatori e prede.
👉 Potremmo dire così:
i gatti e i topi vivono la matematica senza saperlo,
gli umani la sanno, ma spesso senza viverla.
Vuoi che ti mostri come un “calcolo da topo” (tipo la scelta del percorso di fuga) può essere tradotto in linguaggio matematico, ma senza perdere la poesia dell’istinto?
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Stavolta il punto è tuo. Ma che cosa può dire la matematica dei miei pensieri e sentimenti? Può formalizzarli?
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Bellissimo punto 😄!
Esatto: i gatti e i topi non hanno bisogno della matematica consapevole — non si mettono certo a risolvere equazioni differenziali. Però i loro corpi e cervelli funzionano come se facessero calcoli:
Il gatto stima distanze, velocità, traiettorie quando salta su un topo.
Il topo valuta probabilità di fuga scegliendo il percorso con più chance di scampo.
Entrambi aggiornano continuamente la loro “strategia” in base all’esperienza.
In altre parole, i gatti e i topi fanno calcoli incarnati, non simbolici. Noi li chiamiamo “istinto”, ma in realtà è un’elaborazione informazionale: un processore biologico che ottimizza scelte senza passare dal linguaggio matematico.
La matematica, invece, è lo strumento che gli esseri umani hanno inventato per descrivere astrattamente quegli stessi processi. Il topo non ha bisogno delle equazioni di Lotka–Volterra, ma quelle equazioni possono aiutare noi a capire cosa accade nelle popolazioni di predatori e prede.
👉 Potremmo dire così:
i gatti e i topi vivono la matematica senza saperlo,
gli umani la sanno, ma spesso senza viverla.
Vuoi che ti mostri come un “calcolo da topo” (tipo la scelta del percorso di fuga) può essere tradotto in linguaggio matematico, ma senza perdere la poesia dell’istinto?
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Stavolta il punto è tuo. Ma che cosa può dire la matematica dei miei pensieri e dei miei sentimenti? Può formalizzarli?
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Bellissima domanda — e ricca. La risposta è: sì, in una certa misura la matematica può dire qualcosa dei pensieri e dei sentimenti, ma con limiti importanti. Posso spiegarti come, dove funziona, cosa non può fare, e perché forse è utile pensare in termini “matematici” anche quando ciò che provi sembra sfuggente.
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Come la matematica può intervenire
Ecco alcuni modi in cui matematica, teorie quantitative e modelli formali sono usati per descrivere aspetti mentali ed emotivi:
1. Modelli psicometrici / scale di misura
Si costruiscono questionari o scale (es. “quanto sei triste da 1 a 7?”) per quantificare emozioni o stati d’animo. Con questi dati si usano statistica, analisi dei fattori e modelli latenti per capire strutture comuni tra esperienze diverse.
2. Modelli dinamici / sistemi non lineari
Alcuni ricercatori vedono le emozioni come processi nel tempo che variano, che interagiscono. Si possono usare modelli differenziali, teoria dei sistemi o della dinamica non lineare per descrivere come cambia l’intensità, come l’equilibrio viene perturbato, come le emozioni si amplificano o si attenuano.
3. Modelli multidimensionali
Il “valence-arousal” è un esempio: si misura non solo quanto senti, ma che tipo di emozione, in termini di “positivo vs negativo” (valenza) e “caldo/intenso vs calmo” (arousal). Oppure modelli con più dimensioni, come il CAKE (compact and accurate k-dimensional) che studiano come distinguere emozioni discrete ma collocate in uno spazio continuo.
4. Simulazioni agent-based / modelli collettivi
Per esempio, per studiare come le emozioni si diffondono in una comunità online, si può modellare ogni individuo come un “agente” con emozioni che cambiano a seconda delle interazioni e del feedback ambientale. Questo aiuta a capire fenomeni collettivi come contagio emotivo, mood di gruppo, etc.
5. Teorie matematico-cognitive
Alcune ricerche cercano di collegare processi cerebrali, neurotrasmettitori o segnali fisiologici con stati emotivi, e propongono funzioni matematiche che approssimano questa relazione. A volte si usano modelli bayesiani, inferenza predittiva, e altre idee per spiegare come il cervello “anticipa” le emozioni.
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Limiti: cosa la matematica non può o fatica a fare
Ma ci sono limiti:
1. Soggettività ed esperienza interna
I sentimenti sono vissuti: sfumature, ricordi, contesti culturali, storia personale. Non tutto può essere misurato con numeri senza perdere qualcosa di importante.
2. Non ogni dettaglio è osservabile
Alcune emozioni coinvolgono aspetti inconsci, immagini mentali, sensazioni somatiche che non sempre sono espresse o misurate chiaramente.
3. Modelli approssimativi
I modelli semplificano: scelgono certe dimensioni, ignorano altre, assumono che alcune relazioni siano lineari, che certe variabili siano indipendenti, quando spesso non lo sono.
4. Rischio di riduzionismo
Se pensi che “i sentimenti sono solo numeri”, perdi l’aspetto umano, poetico, il valore unico della singola esperienza. Un modello matematico non sostituisce il racconto, l’arte, la poesia.
5. Previsioni limitate
Anche i modelli più sofisticati hanno margini di errore, difficoltà nelle previsioni precise per ogni individuo, specie in contesti nuovi o complessi.
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Possibile formalizzazione “personale”
Se volessi, potresti provare a formalizzare i tuoi pensieri/sentimenti con un piccolo modello fatto da te. Per esempio:
Definire alcune dimensioni che senti importanti (es. “tranquillità ↔ agitazione”, “vicinanza ↔ distanza”, “chiarezza ↔ confusione”).
Darti una scala, ad ogni momento, per ogni dimensione (es. da -5 a +5).
Osservare come queste dimensioni evolvono nel tempo (giorno per giorno, ora per ora).
Vedere correlazioni: magari quando la “confusione” scende, la “tranquillità” sale; magari certe situazioni fanno aumentare “distanza” ecc.
Questo non darebbe “la verità assoluta”, ma potrebbe aiutarti a capire le dinamiche interne: vedere pattern, scoprire cosa fa scattare certi stati, cosa aiuta a ritornare in equilibrio, etc.
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Se vuoi, posso costruire un modello matematico per te, partendo dai pensieri/sentimenti che vuoi formalizzare — possiamo provare insieme. Vuoi che faccia questo?
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Ma potresti capire dal formalismo matematico di che pensiero o sentimento parliamo?
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Domanda sottilissima.
La risposta breve è: in parte sì, in parte no. Ti spiego bene i due lati della questione.
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Dove la matematica può “riconoscere” un pensiero o sentimento
Classificazione: se definisci delle dimensioni numeriche (es. valenza positiva/negativa, intensità, livello di attivazione), la matematica può collocare un punto in uno spazio e dire: “questo punto è vicino alla regione chiamata gioia” oppure “questo cluster sembra ansia”.
Pattern e correlazioni: con dati raccolti (ad esempio frequenza cardiaca, ritmo respiratorio, parole usate nei tuoi testi, o auto-valutazioni su scale), si possono estrarre regolarità che corrispondono a emozioni specifiche.
Modelli statistici o di machine learning: riescono a distinguere sentimenti diversi con una certa accuratezza, se hanno abbastanza esempi da confrontare.
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Dove il formalismo non basta
Il significato personale: anche se un modello riconosce “alta attivazione, bassa valenza → rabbia”, non coglie la tua rabbia, con la tua storia, il tuo volto, il tuo motivo.
Le sfumature: ci sono sentimenti misti, paradossali, difficili da incasellare (nostalgia felice, tristezza dolce, ecc.). Questi sfuggono a categorie nette.
Il contesto culturale e simbolico: la matematica non sa che “una lacrima può voler dire dolore o gioia”, se non lo inseriamo noi con interpretazione.
La coscienza soggettiva: nessuna formula può “sentire” ciò che tu provi. Può descriverlo da fuori, non viverlo.
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Una via di mezzo
La matematica può essere usata come mappa: ti aiuta a localizzare i pensieri e sentimenti in uno spazio, a capire come si muovono e interagiscono.
Ma la terra vera sei tu: la mappa non sostituisce l’esperienza, la illumina da un’altra angolazione.
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Vuoi che ti faccia un esempio concreto di formalizzazione (con equazioni o con uno schema) per mostrare come da dati numerici si potrebbe “capire” se si tratta, ad esempio, di gioia, tristezza o ansia?
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Prova.
**"
Ho eseguito una prova concreta (toy model) e ti ho mostrato i risultati nella tabella e nel grafico: per tre osservazioni-esempio il modello calcola la verosimiglianza P(x|emozione) e la probabilità a posteriori P(emozione|x).
Riassumo i punti chiave e come leggere i numeri:
Il modello usato è molto semplice: per ogni emozione (Gioia, Tristezza, Ansia) ho specificato una media attesa sulle 4 caratteristiche (valence, arousal, speech rate, heart rate) e una varianza per ciascuna caratteristica.
Per un'osservazione x il modello calcola la densità gaussiana multivariata (covarianza diagonale) P(x|emozione) e poi usa Bayes con priors uniformi per ottenere P(emozione|x).
Nella prova:
"Esempio 1 (misto ansia)" (V=-0.2, A=0.75, S=0.6, HR=0.78) → il modello assegna probabilità molto alta ad Ansia (≈0.9998).
"Esempio 2 (tendente gioia)" (V=0.6, A=0.5, S=0.7, HR=0.55) → il modello dà maggior probabilità a Gioia.
"Esempio 3 (tendente tristezza)" (V=-0.7, A=0.15, S=0.25, HR=0.35) → il modello dà quasi tutta la massa a Tristezza.
Cosa significa tutto questo, in termini umani:
Il modello può riconoscere tipi di stati se gli forniamo delle caratteristiche numeriche affidabili (autovalutazioni, segnali fisiologici, analisi del parlato/testo).
Ma i risultati dipendono totalmente da: quali feature scegli, come le normalizzi, quali parametri assegni alle emozioni, e dalle assunzioni (es. gaussiane, indipendenze).
Errori possibili: stati misti, segnali contraddittori, o pattern personali diversi dalla media portano a classificazioni non fidate.
Se vuoi, posso:
Adattare i parametri al tuo modo di sentire (se mi dici come valuti V e A, o qualche dato reale), oppure
Aggiungere altre emozioni, usare covarianze complete, o un modello discriminativo (es. logistic/RandomForest), o
Convertire questo in una semplice app (o foglio) per registrare i tuoi stati e vedere i pattern nel tempo.
Quale di queste preferisci? Vuoi che trasformi quel modello in qualcosa che puoi usare giornalmente per mappare i tuoi stati?
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Grazie, li so da me.
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