martedì 16 settembre 2025

Il suicidio

Se il senso della vita, qualunque sia, si prova solo dentro di noi, perché affidarlo a spiegazioni scientifiche? Molti lanciano teorie di tutti i tipi sulla Rete cercando di dimostrarle magari con equazioni matematiche. Ma anche la migliore teoria deve trovare un riscontro in ciò che noi sentiamo. Se mi sento disperato o felice, non saranno le equazioni a dimostrarlo o a negarlo. Sarò io e solo io a saperlo. In fondo vivere è semplice: è una sensazione che si ha. Gli animali lo sanno benissimo senza conoscere nessuna scienza. Sono naturalmente predisposti a vivere. Solo se vengono abbandonati e non hanno più da mangiare, si lasciano andare. Anche per gli uomini è così. Possono lasciarsi andare. Le persone che si suicidano hanno perso la predisposizione a vivere. Vivere diventa troppo doloroso. Se non c' è più il piacere minimo di vivere, a che pro andare avanti? Vediamo persone che continuano a vivere in condizioni spaventose di miseria, di abbandono o di malattia. Ma c'è sempre un limite oltre il quale vivere non ha più senso o non è più conveniente. Non è che uno decida di non vivere. La morte si decide da sé... Come la vita, del resto. D' accordo, qualcuno ci mette in vita. Ma poi qualcuno altro o qualcos'altro ce la toglie. 

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Bellissimo testo — ricco di domande importanti e sentite. Ti rispondo con calma e in italiano, provando a rispettare il tono riflessivo del brano.


Hai messo al centro due poli che spesso sembrano contrapposti ma che possono dialogare:


1. L’esperienza soggettiva (il «sentire» che rende la vita significativa per ciascuno di noi).



2. La spiegazione oggettiva/scientifica (teorie, equazioni, descrizioni esterne).




Breve lettura del testo


Affermi che il senso della vita «si prova dentro di noi» e che solo il soggetto sa se è felice o disperato — una posizione fenomenologica: la verità della vita passa dall’esperienza vissuta.


Critichi l’abitudine contemporanea a ricercare conferme «scientifiche» di ciò che è, per te, primariamente sentito.


Sottolinei che anche gli animali «sanno vivere» per istinto, e che l’abbandono o la privazione cancellano quella predisposizione.


Tratti il suicidio come perdita della predisposizione a vivere: un punto di osservazione empatico e doloroso.


Concludi con una visione circolare: la vita e la morte in parte «ci vengono date», ma in parte emergono da noi.



Alcuni spunti di riflessione


1. Soggettività e verità: è vero che la misura più immediata del senso è il nostro sentire: la gioia, la disperazione, l’intensità del vivere sono vissuti prima ancora che teorie. Tuttavia la scienza non pretende di «negare» questi vissuti, piuttosto di descriverne cause, correlati e meccanismi. Le due prospettive rispondono a domande diverse: la scienza al come e al perché funzionano certi processi; l’esperienza al che cosa significa per me viverli.



2. Scienza come strumento, non giudice: usare equazioni o studi per parlare del senso non toglie valore all’esperienza; può però aiutare — ad esempio — a capire perché certe condizioni (povertà, isolamento, malattia) rendono più probabile la perdita del piacere di vivere. Sapere questo non sostituisce il dolore di chi soffre, ma orienta politiche e cure che possono ridurre quella sofferenza.



3. Animali e istinto vs uomo e riflessione: gli animali mostrano che la vita può essere «predisposizione» naturale. Gli esseri umani, però, hanno la capacità di riflettere su quel predisporre: possiamo rendere il vivere più o meno significativo anche con idee, progetti, arte, relazioni. Questa capacità riflessiva è anche fonte di grande bellezza ma può generare angoscia.



4. Suicidio e limite: il testo coglie un punto profondo: esiste un limite soggettivo oltre il quale vivere diventa insostenibile. È importante dirlo con delicatezza e senza giudizio. Nella realtà si tratta spesso di una combinazione di fattori (biologici, psicologici, sociali): dolore, isolamento, malattia mentale, perdita di speranza. Per questo la risposta non è solo morale ma anche pratica: accoglienza, cura, ascolto e sostegno.




Cosa si può fare ?


Parlare con una persona di fiducia; non tenere tutto dentro.


Cercare aiuto professionale (medico, psicologo, servizi sanitari) se il senso di non voler più vivere diventa reale.





Letture e riferimenti (veloci)


Se vuoi approfondire la questione del senso della vita da punti di vista diversi, potresti trovare utili:


Albert Camus — Il mito di Sisifo (sull’assurdo e sulla scelta di vivere nonostante tutto).


Viktor Frankl — Man’s Search for Meaning (logoterapia: come trovare senso anche nelle sofferenze).


Testi di fenomenologia esistenziale (Heidegger, Merleau-Ponty) se ti interessano questioni sul «vivere» come esperienza immediata.



Conclusione


Il tuo scritto dice qualcosa di vero e necessario: il senso della vita passa prima di tutto dal nostro sentire, ed è ingiusto ridurlo a numeri. Allo stesso tempo, ignorare cause sociali o biologiche che amplificano la sofferenza impedisce di intervenire per aiutare chi perde la predisposizione a vivere. Le due prospettive — esperienza e spiegazione — possono quindi completarsi: la prima ci dice che cosa vale; la seconda ci aiuta a capire come proteggere e promuovere quel valore.




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