Quando un
bambino nasce, non ha nessuna idea di essere un individuo separato. Gli sembra
di essere tutto ciò che lo circonda o che tutto ciò che lo circonda sia se
stesso. Ha un’esperienza di totalità. Così per esempio non fa una distinzione
fra sé e la madre. È un tutt’uno, è fuso insieme. E ce ne vuole di tempo e di
educazione perché inizi a sé dall’altro.
È a questa
esperienza di fusione che si riferisce Gesù quando dice che, per ottenere il
Regno dei cieli, bisogna essere come bambini. Lo dice lui, ma anche altri
mistici. Nel taoismo si dice che bisogna tornare a essere “legno grezzo”. Cioè,
perdere il senso della propria individualità e recuperare il senso della
propria unione col tutto.
Ma non si
tratta di una sola sensazione. In fondo, anche se ragioniamo, scopriamo che
siamo fatti dello stesso materiale di cui è fatto il cosmo intero.
Alcuni mistici
pensano che questa esperienza sia l’illuminazione. L’esperienza di se stessi
come illimitati e infiniti, senza confini. Si tratterebbe di un ritorno allo
stadio infantile.
Ma il cosmo
incomincia con la differenziazione, la divisione e la separazione. Altrimenti
sarebbe un tutt’uno senza forma, senza tempo e senza entità distinte.
Non possiamo
nemmeno invitare la gente a regredire fino all’Origine indifferenziata. Non
sarebbe possibile vivere in questo mondo.
Dunque,
l’esperienza di illuminazione è vedere l’Origine unitaria insieme alla differenziazione individuale.
Quando cerco di
cogliere me stesso nella mia interezza, è come se cogliessi solo qualche
brandello di me, qualcosa di poco consistente, come afferrare un fantasma. E
questo capita a ogni livello, fisico e mentale. In senso fisico, riesco a
vedere o a toccare solo alcuni parti di me: le mani, i piedi, la pancia, le
braccia, le gambe… ma non il didietro e la faccia. Certo posso specchiarmi o
fotografarmi, ma non è un’esperienza diretta. Mi manca sempre l’intero. Invidio
gli attori che possono rivedersi, ma anche loro recitano solo una parte e non
sono veri. E poi un’immagine non è la realtà percepita direttamente.
Insomma non
riesco a percepirmi interamente e direttamente, così come mi vede un altro. Del
resto, è inevitabile. Se fossi un altro per me stesso, non sarei me stesso!
A livello
mentale, è peggio ancora. Colgo qualche elemento del mio io. Ma il tutto, il quadro
d’insieme, mi sfugge sempre. Dunque ho qualche immagine di me. Ma non so chi
sono. Per me questo è un problema.
Probabilmente
questa incapacità è comune a tutti. Però gli altri non sembrano farci caso e
vivono lo stesso senza problemi. Non so come facciano. Si sono abituati a
essere alienati.
Quando cerco di
vedermi, vedo un oggetto, ma il Vedente mi sfugge sempre. Rimane una
soggettività che non può essere ridotta
a oggetto.
Come faccio? Qualche
volta, mentre parlo, penso o mi muovo, cerco di cogliermi di sorpresa. Ma colgo
solo un’immagine, un ricordo, mentre mi sfugge l’insieme.
Così, tra un
agguato e l’altro, ho deciso di mettermi tranquillo e di osservarmi o sentirmi.
Questa per me è la meditazione. Cogliere o meglio ancora essere l’intero.