domenica 12 agosto 2012
La contemplazione di Dio
Da chi crede ci aspetteremmo che si dedicasse alla contemplazione di Dio - e che sapesse farlo. Infatti, da Aristotele a san Tommaso, e in tutte le religioni, la contemplazione è considerata l'attività più elevata. A differenza della preghiera la contemplazione non chiede qualcosa, ma si limita a "sentire" la presenza del Divino, sia che sia inteso come Essere separato, sia che sia inteso come Totalità. Si tratta di una logica ineccepibile: se Dio esiste e ha creato l'uomo, l'uomo deve cercare di percepirlo, di entrare in comunicazione con Lui, di adorarlo, di ascoltarlo. Ma le religioni e i credenti non sanno proprio comunicare con Dio. Pregano, implorano, chiedono, invocano, ringraziano, parlano, pensano, eseguono rituali, gli mettono in bocca i propri pensieri, le proprie convinzioni... senza riuscire a fare un po' di silenzio. Perché questo è proprio il punto. Per contemplare Dio, la Trascendenza, l'Assoluto, bisognerebbe stare in religioso silenzio; altrimenti ci si trasforma in petulanti questuanti che cercano di ottenere qualcosa. Ma, per stare in silenzio, bisognerebbe prima capire la propria attività mentale, che precede ogni altra attività e la inquina. Quale immagine di Dio ha il cristiano, il musulmano, l'hindu, l'ebreo, ecc.? In realtà bisognerebbe liberarsi di ogni immagine, nella consapevolezza che si tratta comunque di una creazione mentale. Come può la mente comunicare con Dio? Lo pensa, lo immagina, se na fa un'idea... insomma cerca di rappresentarlo, anzi di farlo rientrare nelle proprie categorie. A quel punto la contemplazione è impossibile. Ecco perché tutte le religioni sono un fallimento. Dio viene inserito in svariati contesti e viene utilizzato per servire svariati interessi. Ma, per contemplarlo, per attingere alla sua fonte d'energia, bisogna imparare a fare il vuoto mentale e a non avere immagini e idee precostituite. Bisogna essere aperti e semplici, accoglienti e fiduciosi. Bisogna mettere da parte le teologie e le stesse religioni.
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