venerdì 31 agosto 2012

Zen e teologia


"Teologia" è il nostro ragionamento su Dio e il divino, è la mente umana che, utilizzando la propria logica, cerca di capire qualcosa della trascendenza. Non c'è niente di male, naturalmente. Ma non si pretenda che valga qualcosa. Tutta la teologia infatti parte dal presupposto che la ragione possa comprendere la trascendenza, il divino. Ma questo presupposto può essere contestato. Prima di ragionare su Dio, domandiamoci se la mente umana possa farlo e se il mondo sia ordinato secondo la nostra stessa logica. E, soprattutto, domandiamoci a che cosa serve "conoscere" Dio. Se per conoscere intendiamo approdare alle fiacche formule della teologia ("Dio è il bene, è amore, è assoluto, ecc.), in realtà non stringiamo niente: rimagono concetti, astrazioni, filosofia... senza costrutto, senza utilità. Tutto rimane come prima, dentro e fuori di noi.
Se invece per "conoscere" partiamo dalla nostra sete di infinito, dal nostro bisogno di superare qualsiasi limite - e se questa è la nostra trascendenza o il nostro Dio -, allora il discorso si sposta dalla conoscenza intellettuale, che non cambia molto, all'esperienza. Che tipo di esperienza? Ovviamente un'esperienza di liberazione e di superamento.
Quando possiamo ottenere - o almeno avvicinarci - a un simile stato? Non certo quando pensiamo in termini di tradizioni, di teologie, di filosofie, di religioni, ecc., ma solo quando trascendiamo tutte queste cose... quando cioè ci liberiamo dalla mente stessa. È possibile farlo? Rivolgiamoci allo Zen. Quando un discepolo vuol parlare della verità, della meditazione o dell'assoluto, il maestro zen incomincia a sbadigliare. I soliti labirinti della logica, i soliti giochi di parole. Se vuoi conoscere per esempio che cosa sia un vaso, è inutile che lo definisci e lo pensi in mille modi - devi piuttosto prenderlo in mano.
Ma nel caso di Dio, del divino o della trascendenza che cosa possiamo afferrare? Ovviamente niente. Niente sarà sufficiente a definirlo, a racchiuderlo, a delimitarlo. Perché è proprio l'illimitato. E, allora, non rimane che fermare la mente indagatrice. Lì nel vuoto, liberi da tutti i concetti... teologici.

martedì 28 agosto 2012

L'analfabeta sapiente


Continua l'opera evangelizzatrice e moralizzatrice della Chiesa cattolica a spese della Rai, cioè di noi tutti. Dopo averci crocifisso con le storie di santi e di papi, dopo averci asfissiato con decine di film sul Cristo e sulla Madonna, ecco che incominciano i beati: è preannunciato uno sceneggiato sulla beata  Teresa Manganiello, "l'analfabeta sapiente", un personaggio che tutti volevamo vedere rappresentato in televisione per edificarci in questo periodo di crisi. Il guaio di questi filmetti è che, oltre ad essere noiosi e deprimenti, sono fatti male: pura agiografia, ossia racconti dove la verità storica è sempre piegata ad esigenze di propaganda religiosa. Insomma, la Chiesa ordina e lo Stato paga la realizzazione, sempre al servizio della fede. Mai come in queste occasioni si vede quel perverso intreccio tra Stato e Chiesa che ha ridotto l'Italia in stato fallimentare, sia sul piano culturale sia sul piano economico. I due piani infatti vanno di pari passo: un popolo ignorante, allevato sulla base di credenze medievali, non può che ridursi in miseria.
Basti dire che in Italia non si possono avere leggi civili sulle coppie di fatto o sui gay perché il Vaticano non vuole. Anche la legge 40 sulla fecondazione assistita è stata una norma voluta dalla destra oltranzista su dettatura papale. Non si è mai visto uno Stato così prostrato di fronte alla religione. Forse solo i paesi musulmani... E non c'è differenza tra destra e sinistra: quando si tratta di essere sottomessi alla Chiesa, i nostri politici sono tutti uguali. Forse credono, nella loro ignoranza spirituale, che il paese abbia ancora bisogno di essere guidato dalla religione, che nel frattempo dà un grande spettacolo mondiale  di moralità con i preti pedofili e con le banche vaticane che riciclano i soldi delle mafie.
Resta il fatto che la Corte Europea per i Diritti dell'Uomo ha appena appena decretato che la legge 40 "è incoerente e viola il diritto alla vita privata e familiare". Da una parte infatti in Italia si ammette l'aborto, ma dall'altra non si possono fare gli screening pre-impianto del feto. Insomma, a questi risultati ridicoli ci porta il servaggio verso la Chiesa cattolica. E i cattolici hanno deciso che, pur di non fare screening preventivi, sia meglio fare un aborto... successivo. Legge punitiva, discriminatoria, oscurantista, irrazionale e sadica, partorita da una mente disturbata dal fanatismo religioso.
Chissà se qualche politico incomincerà timidamente a mettere in dubbio la civiltà delle leggi volute dalla Chiesa. Purtroppo lo spread economico che ci impoverisce tutti i giorni nasce proprio da questo spread culturale. A forza di "analfabeti sapienti" non andremo molto lontano.

domenica 26 agosto 2012

I "sani di mente"


E così il norvegese Breivik che ha ucciso 77 giovani e ferito altre 200 persone è stato giudicato sano di mente. Sane di mente sono anche le persone che negli Stati Uniti si armano di tutto punto e si mettono a uccidere a casaccio - a chi tocca tocca. Sani di mente sono gli italiani che questa estate, mentre imperversa un caldo africano, si divertono ad appiccare incendi nei boschi:è come se segassero il ramo su cui si trovano. Sani di mente sono gli agenti di Borsa che un giorno si danno all'euforia e il giorno dopo cadono in preda alla depressione più nera. Sani di mente sono gli speculatori finanziari che, per arricchirsi, gettano sul lastrico milioni di persone. Sano di mente è Assad che un giorno si fa vedere a pregare devotamente in una moschea e il giorno dopo ordina al suo esercito di massacrare la popolazione - chi c'è c'è. Sani di mente sono i nostri governanti che prima ci massacrano di tasse e dopo si chiedono come mai non cresciamo. Sani di mente sono i camorristi che utilizzano le processioni religiose per darsi un'aria di sacralità e per uccidere meglio. Sani di mente sono i preti che credono in Dio e Satana nello stesso tempo... E potrei continuare a lungo.
Ma siamo sicuri di essere sani di mente o di vivere piuttosto in società in cui la follia è l'unica vera normalità, e i sani di mente sono visti come pericolosi eversori? Il problema di questo stato collettivo di follia è che fa soffrire, fa odiare il mondo, fa vedere nell'altro il nemico da abbattere. Il piromane avrà anche qualche suo piccolo interesse, ma quello che fa è del tutto sproporzionato. Come se, per uccidere una zanzara, sparasse un missile nucleare. O non ragiona o, appunto, è malato di mente.
Ma ormai l'intera umanità soffre di questa malattia, perché il mondo che ha costruito è basato sulla competizione tra individui e sull'interesse egoistico. Nessuno pensa all'interesse dell'intera umanità, all'interesse dell'intera terra. Si disbosca, si incendia, si costruisce, ci si moltiplica, si inquina l'aria e la terra... e poi si sta sempre più male, si soffre sempre di più - con il risultato che non si sa con chi prendersela. In realtà dovremmo prendercela proprio con noi stessi. Qui però ci vorrebbe una presa di coscienza che è superiore alla mente umana, formatasi per far sopravvivere l'individuo a scapito di tutti gli altri, a scapito dell'ambiente. Fanno così tutti gli animali, fanno così tutti gli esseri privi di coscienza.
Per cambiare le cose, non basta che qualcuno capisca il meccanismo: è necessario che tutti lo capiscano, che tutti siano consapevoli. E invece la nostra cultura è tutta impegnata a nascondere, a occultare, a insabbiare la verità, offrendo soltanto diversivi e stupidi divertimenti: calcio, televisione, feste, balli a canti...
Far rinsavire l'umanità non è per niente facile, perché gli stessi medici sono pazzi. Quelli che dovrebbero guidarci, i politici, i filosofi, i saggi, i religiosi, sono malati come tutti gli altri, se non peggio. Oggi se non sei un giullare, un attore, un egocentrico narcisista non puoi diventare né un presidente né un papa. Devi vivere per l'esteriorità, come tutti gli altri, altrimenti non ti votano.
Il mondo è così perché la nostra mente collettiva è così; questo è il mondo fatto da chi ha questa mente. Cambiate la mente e il mondo cambierà. Se non lo farete, se andrete avanti indifferenti e incoscienti, rassegnatevi a morir di freddo un giorno e scoppiare di caldo il giorno dopo. Anche il tempo infatti risente della pazzia generale.

venerdì 24 agosto 2012

Le diverse idee di religiosità


Le religioni teiste sono tutte fatte allo stesso modo: c'è un Dio o ci sono dei da adorare, c'è un profeta (l'unico autorizzato) o ci sono più profeti) o un Messia, c'è un libro sacro e c'è una chiesa, un tempio o una sinagoga in cui si svolge il culto di questo Dio o di questi dei. Cristianesimo, giudaismo, islam, hinduismo... testimoniano che la mente umana, quando vuol essere religiosa, concepisce sempre lo stesso modello. C'è un Dio che ti ha creato e che un giorno ti giudicherà. E ci sono ovviamente un paradiso e un inferno, in qualche posto, forse in cielo, forse sottoterra, forse su qualche altro pianeta...Ma poi esiste il Buddhismo e in particolare lo Zen, che ci dice qualcosa di completamente diverso. Non solo non esiste alcun Dio, ma è proprio il tuo credere in un Dio che non ti fa essere religioso. Infatti, se c'è un Dio, tu non sei libero - sei uno schiavo che deve ubbidire al suo padrone. E il padrone ti castigherà o ti premierà secondo le sue personali idee di male - le sue, non le tue. Se sei stato un bravo schiavo sottomesso, Dio ti premierà. Ma se hai disobbedito, se hai pensato con la tua testa, se ti sei ribellato all'autorità, se hai voluto scalare da solo l' "albero della conoscenza del bene e del male", allora sarai punito. Questa sarebbe l'essenza della religiosità teista: la sottomissione al Potere.
Invece, non c'è nessun Dio. Quel Dio che tu credi esistere è in realtà una tua idea, una tua interpretazione, una tua proiezione di ciò che è il padre, il padrone, l'autorità... un'idea del tutto umana. Le religioni in cui credi sono piccole e limitate, sono invenzioni degli uomini, i quali marchiano con i loro pregiudizi tutto ciò che creano. Per giustificare l'esistenza di quel Dio, ecco che nascono le teologie, sistemi filosofici che cercano di spiegare con categorie umane ciò che non è logico e neppure umano - un lavoro assurdo...
Ma che cos'è allora la religiosità? La religiosità non è credere, non è pensare, non è avere idee su qualcosa, non è ragionare su Dio (la teologia), ma è sperimentare ciò che vi è divino, nel mondo e in te - non in esperienze eccezionali, ma nella vita di tutti i giorni. Tu hai perso di vista lo straordinario che c'è nell'ordinario, la meraviglia che c'è nella vita semplice. È per questo che cerchi Dio in cielo o, peggio ancora, nelle chiese e nei templi. Ma Dio, il divino, non è chiuso in un luogo speciale; è dappertutto, è in ogni cosa e, soprattutto, è in te stesso. Tu stesso sei il tempio e il dio e la preghiera.
Il problema è che, a forza di pensare e di razionalizzare, a forza di dividere e distinguere mentalmente, a forza di costruire teologie ("quanti angeli ci sono su una capocchia di spillo?"), a forza di vivere in spazi prefabbricati e secondo leggi artificiali, hai perso di vista il divino, la meraviglia. Se dunque ti siedi semplicemente e non fai nulla - proprio nulla, nemmeno cercare di pensare -, se lasci cadere la mente con il suo fardello di distinzioni e di di cavilli, puoi recuperare l'esperienza del divino che è in te e dappertutto. Certo, oggi è sempre più difficile. Perché l'uomo deve lottare, farsi una posizione, sposarsi, mettere al mondo figli, arricchirsi, speculare in borsa, essere più furbo degli altri, diventare importante e fregare il prossimo. Un essere del genere dove volete che possa trovare momenti di silenzio interiore, di meraviglia e di pace? Tutto in lui è rivolto all'azione, all'acquisizione, alla competizione, al possesso. E allora, quando cerca di essere religioso, non gli rimane che rivolgersi alle religioni prefabbricate, ai sacerdoti di professione, ai libri sacri, ai dogmi, alle teologie e al Dio che sta in cielo. Non potrà mai trovare il Dio che sta in lui, che è lui stesso.
Crede che il divino possa essere definito e conosciuto come un qualsiasi altro oggetto. Magari comprato con qualche offerta. Ecco perché Dio è morto. Se non sai diventare silenzioso, se non sai stare seduto senza fare nulla, il tuo Dio sarà semplicemente un concetto, un'immagine e una convenzione. E il tuo rapporto con lui sarà come quello che c'è fra gli uomini: di interesse, di tipo mercantile. Io ti do questo e tu mi dai quest'altro. Di un simile Dio non potrai avere nessuna esperienza, nessun tipo di unione, perché lo cerchi là dove non si trova: nei cieli o nelle chiese. E, invece, è proprio dentro di te. Per sperimentarlo devi solo lasciar perdere le innumerevoli attività in cui ti disperdi continuamente e ritrovare la divinità delle cose fondamentali: prendere la legna, attingere l'acqua al pozzo, bere un bicchiere d'acqua...
Calmo e silenzioso, entra in te stesso e cerca il tuo stesso essere, qui e ora.

mercoledì 22 agosto 2012

Vedute panoramiche


Quando siamo in vacanza o quando cerchiamo comunque una tregua agli affanni della vita, ecco che tendiamo a trovare vedute panoramiche, luoghi da cui si possono contemplare immensi panorami, distese senza fine. Possono essere cime di colline, vette montane, svolte di strade panoramiche, spiagge, scogli, promontori, dune, castelli, torri, ecc. Da lassù possiamo osservare paesaggi sconfinati o più semplici prospettive. I nostri occhi si dilatano, la nostra mente si allarga, i pensieri si arrestano.
Nell'isola di Santorini, per esempio, la sera la gente si riunisce in un luogo speciale da cui si può contemplare uno spettacolare tramonto. E lo stesso succede in mille altre località di mare, di monti, di lago, di fiume, di campagna. Ci si ferma a guardare, senza pensare a nulla di particolare. La ricerca di questa esperienza è la testimonianza di un istinto contemplativo, che alberga nell'animo di tutti, anche di persone non particolarmente sensibili o religiose. È come se la lontananza, la vastità, il cielo, la luce e i colori penetrassero nell'animo e lo dilatassero in un'esperienza che non è solo piacevole, ma è anche la constatazione che non siamo fatti di sola materia, che il nostro spirito anela a qualcosa di grande, di spazioso, di elevato.

lunedì 20 agosto 2012

L'angoscia


L'angoscia non è una forma comune di sofferenza - è qualcosa di molto più profondo. Tutti hanno paura di esistere e di morire, e tutti in incappano in qualche forma di dolore e di sofferenza. Ma l'angoscia è caratteristica degli esseri umani - e soprattutto dei più consapevoli. Nasce infatti da un'acuta consapevolezza di non sapere chi siamo, dove andiamo e se quel che facciamo è giusto o sbagliato. L'angoscia è l'incertezza dell'essere umano che si sente gettato e abbandonato in un mondo ostile. Per sfuggire a questo sentimento panico, gli uomini si danno un gran daffare: si spostano, si muovono, costruiscono, si innamorano, si sposano, mettono al mondo figli e si danno a mille attività dilatorie. Ma l'angoscia, riconosciuta o meno, resta laggiù, in sottofondo e, prima o poi, di fronte alla propria impotenza e alla sensazione di non aver riparo e di dover comunque morire, si rifà viva.
L'angoscia è il segno distintivo delle anime più sensibili, un sentimento abissale, cosmico, di fronte al quale non c'è possibilità di fuga. Ma, siccome tutti i sentimenti sono ambivalenti, chi prova questo genere di angoscia è anche in grado di scendere più in profondità dentro se stesso. In tal senso è un forte stimolo a non ricorrere a diversivi e a cercare il centro di sé, là dove ha origine l'essere stesso. Chi conosce gli abissi dell'angoscia è anche in grado di sperimentare le vette della felicità.

domenica 19 agosto 2012

Mente e cervello


Chi è nato prima: il cervello o la mente? Noi tendiamo a credere che sia nato prima il cervello, ossia l'organo fisico. Ma, ragionando così, presupponiamo che un insieme di sostanze elementari, e poi di cellule, dia origine alla mente e quindi alla coscienza. Il che significa che la mente e la coscienza sono inscritte nella materia.
Dunque ha ragione la fisica quantistica a sostenere che il mondo esterno esiste in funzione di una coscienza e che perciò la coscienza è l'elemento fondante di tutto ciò che è. Il mondo è così perché noi, in quanto detentori di coscienza, lo conosciamo così. Se la coscienza fosse diversa, le cose sarebbero diverse.
Aveva ragione il Dhammapa, il classico buddhista, a dichiarare che "siamo ciò che pensiamo, tutto ciò che siamo sorge con i nostri pensieri, con i nostri pensieri formiamo il mondo".
Ecco perché è così importante essere consapevoli del modo in cui pensiamo e siamo coscienti. E questa è la funzione della meditazione.

venerdì 17 agosto 2012

Gioie e dolori


Poiché la meditazione è un metodo per uscire dal controllo mentale e ritrovare un immediato e fresco rapporto con la realtà, ogni esperienza di intensa felicità (per esempio di amore, di sesso, di bellezza e di contemplazione della natura) diventa una dimostrazione che il meglio della vita si presenta quando si mette da parte l'attività mentale di interpretazione e ci si connette senza mediazioni con le cose. Quando infatti siamo innamorati, facciamo sesso o contempliamo la bellezza in tutte le sue forme, naturali e umane, possiamo osservare che si sospende, anche se per pochi attimi, la comune attività mentale e il senso stesso dell'ego. In questi casi, ci dimentichiamo di ni stessi, trascendiamo l'io e tendiamo ad un'esperienza di unione con l'oggetto di contemplazione o di amore. Sono queste esperienze che ci dicono che c'è una possibilità di trascendere la mente egoica e di mirare direttamente alla realtà.
Ma non tutto è gioia. Anche certe esperienza di intensa sofferenza (di incidenti, di malattie improvvise, di tradimenti, di morte di persone care, ecc.) hanno il potere di infrangere i sogni della mente, il suo facile ottimismo e soprattutto la convinzione che il mondo sia prevedibile e amichevole e che ci sia un Dio Buono che veglia su tutto. I maestri zen ogni tanto danno delle bastonate sulla spalla dei discepoli più ottusi... tanto per risvegliarli dal potere illusionistico della mente. Anche il dolore, dunque, può essere un fondamentale strumento di illuminazione.

mercoledì 15 agosto 2012

Le vacanze della mente


Questo periodo di vacanza è quanto mai adatto a introdurre apertura, luminosità e spaziosità dentro di noi. Per esempio, nella tradizione Dzogchen del buddhismo tibetano esiste la pratica di "guardare il cielo". Ci si stende all'aperto, si guarda il cielo e si introduce la sua luce, la sua grandezza e la sua apertura nel nostro animo. In un certo senso, ci si "infinitizza".
In realtà il periodo estivo si presta a ogni genere di contemplazione. Sedetevi o sdraiatevi in un ambiente naturale (in riva al mare, a un fiume, a un lago, su una montagna, in un bosco, su un prato, ecc.) e, stando in silenzio, contemplate il luogo, a perdita d'occhio. A poco a poco la bellezza, la grandiosità e la luminosità della natura vi pervaderanno, inducendo un attimo di interruzione mentale e una piccola luce. Non a caso il termine "vacanza" viene dal latino vacuum, che significa vuoto. In altri termini, lo scopo è quello di fare il vuoto mentale, interrompendo il solito rimuginio.
Anche i viaggi si prestano ad allargare la mente, facendola uscire dai confini abituali. Sull'argomento ho scritto un libretto intitolato "Le piccole illuminazioni", Mondadori, Oscar.

martedì 14 agosto 2012

Quattro stati sublimi



Nessun'altra religione come il buddhismo dedica metodi concreti alla creazione di stati d'animo positivi, nessun'altra religione cura tanto la mente. Prendiamo per esempio i "quattro stati sublimi". Il primo è metta, che consiste nella cosiddetta "gentilezza amorevole", ossia nell'augurare il bene agli altri e anche a se stessi. Il secondo è karuna, che consiste nella compassione, ossia nella partecipazione alle sofferenze altrui. Il terzo è mudita, la gioia empatica, che consiste nel provare gioia per la gioia altrui. E il quarto è upekkha, l'equanimità, che consiste nel mantenere la calma mentale in qualsiasi circostanza.
Il primo è un metodo per impostare rapporti umani basati sulla gentilezza, una virtù che da noi è trascurata ma che invece è molto potente per creare un mondo meno violento. Ci si deve impegnare a inviare pensieri di benevolenza agli altri e a se stessi e soprattutto ad assumere un atteggiamento generale di benevolenza. Il secondo è un metodo per uscire dall'egoismo e dall'indifferenza, imparando a mettersi nei panni altrui. Il terzo è un metodo per combattere l'invidia e la competizione. E il quarto consiste nel non farsi travolgere dagli stati d'animo estremi e contrapposti.
Come si vede, il buddhismo lavora innanzitutto sulla mente, cercando di cambiare le sue tendenze più deleterie. C'è una notevole differenza rispetto al cristianesimo, che predica sì l'amore verso il prossimo, ma che non ci dice come fare. Come fare ad amare tutti? Come fare ad amare addirittura i nemici? Il buddhismo ci spiega che dobbiamo operare mentalmente in modo da cambiare la disposizione psicologica. E ci dice di controllare continuamente lo stato mentale.
Si tratta di metodi semplici ma fattivi, che mutano qualcosa di fondamentale nel nostro stato d'animo.
Controlliamo ora gli stati d'animo di una giornata. Quanto siamo stati scortesi e ruvidi? Quanto siamo stati indifferenti a ciò che è capitato a qualcuno? Quanto abbiamo provato invidia per il successo altrui? Quanto ci siamo lasciati trasportare da ira, intolleranza, esaltazione o depressione, avversione, impazienza, ecc.?
Da notare che queste pratiche, rivolte verso gli altri, hanno anche l'effetto di eliminare o ridurre la sofferenza in noi stessi. Perché è indubbio che talvolta ci trattiamo più duramente di quanto trattiamo gli altri. E invece è necessario essere gentili, benevolenti, compassionevoli ed equanimi prima di tutto verso noi stessi. Non possiamo essere gentili verso gli altri se non lo siamo anche verso noi stessi.

domenica 12 agosto 2012

La contemplazione di Dio

Da chi crede ci aspetteremmo che si dedicasse alla contemplazione di Dio - e che sapesse farlo. Infatti, da Aristotele a san Tommaso, e in tutte le religioni, la contemplazione è considerata l'attività più elevata. A differenza della preghiera la contemplazione non chiede qualcosa, ma si limita a "sentire" la presenza del Divino, sia che sia inteso come Essere separato, sia che sia inteso come Totalità. Si tratta di una logica ineccepibile: se Dio esiste e ha creato l'uomo, l'uomo deve cercare di percepirlo, di entrare in comunicazione con Lui, di adorarlo, di ascoltarlo. Ma le religioni e i credenti non sanno proprio comunicare con Dio. Pregano, implorano, chiedono, invocano, ringraziano, parlano, pensano, eseguono rituali, gli mettono in bocca i propri pensieri, le proprie convinzioni... senza riuscire a fare un po' di silenzio. Perché questo è proprio il punto. Per contemplare Dio, la Trascendenza, l'Assoluto, bisognerebbe stare in religioso silenzio; altrimenti ci si trasforma in petulanti questuanti che cercano di ottenere qualcosa. Ma, per stare in silenzio, bisognerebbe prima capire la propria attività mentale, che precede ogni altra attività e la inquina. Quale immagine di Dio ha il cristiano, il musulmano, l'hindu, l'ebreo, ecc.? In realtà bisognerebbe liberarsi di ogni immagine, nella consapevolezza che si tratta comunque di una creazione mentale. Come può la mente comunicare con Dio? Lo pensa, lo immagina, se na fa un'idea... insomma cerca di rappresentarlo, anzi di farlo rientrare nelle proprie categorie. A quel punto la contemplazione è impossibile. Ecco perché tutte le religioni sono un fallimento. Dio viene inserito in svariati contesti e viene utilizzato per servire svariati interessi. Ma, per contemplarlo, per attingere alla sua fonte d'energia, bisogna imparare a fare il vuoto mentale e a non avere immagini e idee precostituite. Bisogna essere aperti e semplici, accoglienti e fiduciosi. Bisogna mettere da parte le teologie e le stesse religioni.

venerdì 10 agosto 2012

Un campo di energia consapevole


Ci sono ancora persone che utilizzano una teologia datata, addirittura medievale. Credono ancora che da una parte ci sia il Creatore e dall'altra parte il mondo. Credono che l'uomo sia in attesa di interventi salvifici dall'alto e che Dio sia lì a seguirci e, una volta morti, a punirci o a premiarci. E si domandano angosciati da secoli come mai questo meraviglioso Creatore, soltanto Bene e Amore, abbia creato tanto male. E allora arzigogolano teorie che non stanno né in cielo né in terra, volte solo a salvare la loro immagine di Dio. Eppure lo stesso san Tommaso, verso la fine della sua vita, dopo aver avuto una specie di illuminazione, disse: "Tutto ciò che ho pensato non è che paglia".
La teologia tradizionale non è che spazzatura, partendo dalla pretesa impossibile di racchiudere nelle nostre categorie mentali la trascendenza. Oggi perfino la scienza sa benissimo che tutto è interpretazione (anche le leggi della fisica) e che l'universo è un campo di un'energia indistruttibile ed eterna che crea le cose soltanto in relazione alla mente che le deve conoscere. In altri termini, quell'albero esiste perché c'è qualcuno che lo identifica. Ma se non ci fosse la mente a riconoscerlo, non ci sarebbe e, al suo posto, rimarrebbe solo un'energia informe. Tutto ciò punta alla mente conoscitiva e alla sua più importante funzione: la consapevolezza.
Dal modo in cui la mente è cosciente dipende dunque non solo la visione del mondo ma anche la nostra personale felicità. Esaminiamo il modo in cui ci rapportiamo alle cose per scoprire per scoprire perché siamo felici o infelici. Il nostro modo di essere consapevoli plasma noi stessi e il mondo. Una bella responsabilità.

domenica 5 agosto 2012

La religione come attenzione



Molti credono che essere religiosi significhi adorare il Creatore o il Padrone dell'universo. Ma altri credono che consista nell'essere più attenti e consapevoli. Dalla venerazione del Capo non ti viene una maggior coscienza. Invece, dall'aumento dell'attenzione, viene l'incremento della sensibilità sia verso gli altri sia verso te stesso. Nel primo caso ti vengono imposti dall'esterno dei comportamenti; nel secondo caso sei tu che vari i scegli in base alla tua consapevolezza, in base alla tua aumentata sensibilità.
Né Buddha né Gesù né Maometto si accontentarono della religione che era stata tramandata loro, e vollero cercare qualcosa di nuovo, qualcosa di personale, qualcosa che fosse più adatto ai nuovi tempi.
E così dovrebbero fare tutti. Se ti limiti ad aderire a una religione preconfezionata, in realtà non scopri niente da solo, non fai nessuna esperienza personale, non sviluppi nessuna consapevolezza.
Guarda i cosiddetti individui religiosi dei tuoi tempi. Ti sembrano esempi da imitare? Ti sembrano liberi? Ti sembrano gioiosi? Ti sembrano aperti e sensibili? Sono coerenti? Sono creativi? O si limitano a recitare, come sepolcri imbiancati, sempre gli stessi ruoli, sempre le stesse parole?

Grazia e meditazione


Certe persone sono convinte che grazia e le rivelazione possano scndere solo dall'alto, dal solito fantomatico Dio, ritenuto (erroneamente) solo bene e solo amore. Ma potrebbe aspettare fino alla fine dei tempi, anche perché una simile immagine di Dio è immaginaria e contraria alla realtà.
Io credo invece che la grazia sia già scesa per tutti, con la differenza che non tutti ne sono consapevoli. "Tutti gli uomini" diceva Hakuin "sono in essenza dei buddha".
Chi si aspetta la grazia divina, ha un'idea pessimista degli uomini: crede che non possano camminare con le proprie gambe.  Se ci dobbiamo aspettare sempre un intervento del divino, noi che cosa meditiamo a fare? E Buddha non era un uomo come tutti gli altri che raggiunse da solo l'illuminazione? Lui stesso lo ripeteva, anche se i suoi seguaci ne hanno fatto un dio. E Lao-tzu? E i maestri del Vedanta? E i maestri zen?
In realtà la scintilla divina è già in tutti noi. E spetta a ciascuno di noi tirarla fuori.
Purtroppo le religioni hanno fallito nel loro compito di migliorare l'uomo. Ancora oggi assistiamo a una lotta mortale fra tradizioni religiose. E ci sono comunità guidate da maniaci sessuali, dediti inoltre all'uccumulo di denaro e di potere.
Alle religioni non interessa creare uomini più consapevoli, ma creare masse di fedeli ubbidienti. Questo vale tanto per le religioni tradizionali quanto per certi nuovi culti di origine sincretista.
E comunque tutte le religioni sono sincretiste. Lo stesso cristianesimo sarebbe nato se non avesse messo insieme elementi del giudaismo, del paganesimo e delle religioni ellenistiche?
Io per esempio non apprezzo l'uomo Rajneesh-Osho, e ne vedo i limiti e le contraddizioni, ma è l'unico che in tempi moderni abbia inneggiato alla liberazione degli individui dal giogo sociale e religioso. Che poi i suoi seguaci non siano stati all'altezza, è evidente. Ma crediamo che i seguaci di Gesù siano stati migliori? Che cosa dicevano i romani e i greci dei primi cristiani?
Non è dall'alto, non è solo dall'alto, che viene la liberazione. Viene anche dal basso, viene dalla nostra interiorità. E, comunque, alto e basso, come diceva un antico motto ermetico, sono la stessa cosa.


sabato 4 agosto 2012

La nostra realizzazione


Rispondo a due domande di un lettore.
Prima domanda:
Cosa consiglia di fare se, durante la meditazione, siamo visitati da pensieri inquieti e immagini che disprezziamo? Sembra che la mente lo faccia perché si oppone al nostro tentativo di migliorare ed entrare in noi stessi; sembra che si ribelli e produca appositamente motivi di disturbo.

Risposta:
La mente lo fa apposta perché non vuole essere messa a tacere. Il suo scopo infatti è produrre in continuazione pensieri, immagini, ricordi, sogni, fantasticherie, incubi, ecc. E la meditazione vuole al contrario trascendere tutto ciò, cerca il silenzio mentale.
Devi convincerti che tu non sei la tua mente, devi disidentificarti dalla mente. Tu non sei la tua mente, tu sei il Testimone che la osserva con distacco. Prendi nota di tutta questa produzione mentale come se provenisse da un'altra persona e compi uno spostamento dalla mente al Testimone. Si tratta di un'operazione che non va pensata, ma realizzata concretamente. Tu spostati dalla mente che lavora all'osservatore che la osserva. Da un centro all'altro, dall'ego che pensa al soggetto trascendentale, al Sé.
Mettere a tacere la mente non è facile, ed è un'operazione che spaventa. Ma si consideri che i momenti migliori della nostra vita vedono una sospensione della comune attività mentale, per esempio quando si contempla con meraviglia qualcosa, quando si guarda con amore o quando si è concentrati su qualcosa di piacevole.
Ci si può aiutare concentrandosi sul lobo anteriore del cervello, al centro della fronte. Oppure chiudendo gli occhi e osservando la macula luminosa che appare nel buio, magari sospendendo il respiro. Ma ciò che conta è assumere la "posizione del Testimone".

Seconda domanda:
Come e quando posso essere sicuro che "la mia voce" sia effettivamente la mia, e non invece l'ennesima interferenza della mia cultura/tradizione? Esiste, secondo lei, un'esperienza, una particolare sensazione, che ci "informa" circa l'autenticità, la non-estraneità della nostra voce interiore?

Risposta:
 La voce interiore in realtà non è una voce, ma un'ispirazione. Non si tratta di ascoltare delle parole, ma di essere sicuri di compiere la scelta giusta quando le circostanze lo richiedono. Come si fa? Ritirarsi, raccogliersi, isolarsi e soprattutto mettere a tacere la mente. La "voce" giungerà quando capiremo che strada dobbiamo imboccare. Infatti la strada altro non è che la realizzazione della nostra natura essenziale. Quindi, tutto ciò che ci fa perdere tempo o che va contro le nostre predispozioni fondamentali deve essere accantonato. Quando invece favoriremo la nostra realizzazione spirituale e materiale, allora la "voce" ci dirà che è la scelta giusta. Ognuno di noi ha un destino e una via da percorrere, in base alle doti che possiede. Quando segue questa via, il suo Sé e l'universo intero gli dirà che sta facendo bene. La sensazione corrispondente sarà quella di essere finalmente a casa, di essere rilassati e attenti, di essere lucidi, di essere a proprio agio.

venerdì 3 agosto 2012

Non-mente


La differenza tra preghiera e meditazione ci aiuta a capire che cosa sia quest'ultima. Mentre nella preghiera ci si rivolge a Dio per chiedergli di esaudire qualche desiderio, nella meditazione ci si deve liberare proprio del desiderio. Non nel senso che non si devono più avere desideri ma nel senso che dobbiamo stare nel presente, nel qui-e-ora, evitando di evadere attraverso la mente la quale si sposta continuamente nel passato, attraverso i ricordi, o nel futuro, attraverso le speranze. Proprio nel momento in cui siamo totalmente presenti e attenti, oltrepassando ricordi e speranze, trascendiamo la mente con tutte le sue ingannevoli interpretazioni.
Il Dio cui ci si riferisce nella preghiera è inevitabilmente un prodotto della mente, mentre il nostro scopo nella meditazione è essere non-mente, è annullare le categorie mentali, trascenderle. La preghiera è ancora un'operazione mentale, mentre la meditazione ne esce.

Superare le tradizioni


Pur nel rispetto delle culture passate, che ci hanno dato qualche idea buona ma che si contraddicono e si combattono a vicenda, il nostro compito non è quello di seguire fedelmente questa o quella tradizione, ma quello di prendere il meglio di ciascuna tradizione, di elaborarlo e poi di passare oltre trovando nuove vie. La ricerca spirituale è un fatto personale e creativo. Io devo essere me stesso, non il discepolo di qualche maestro. Io devo realizzare me stesso, e nessuno potrà illuminarsi al posto mio. Posso seguire qualsiasi maestro, ma alla fine dovrò camminare con le mie gambe se voglio arrivare da qualche parte. Altrimenti resterò per sempre un seguace, un fedele, un imitatore, uno che non si è realizzato.
Se io non sarò me stesso, chi lo sarà per me? E, se non ora, quando?
La realizzazione è uno stato in cui trascendo tanto l'ego quanto la mente, lasciando perdere ogni ideologia, ogni obbedienza ed ogni ortodossia.
Ricordiamo l'aneddoto riguardante il saggio chassidico Zusiya. Poiché stava morendo, un vecchio gli domandò: "Quando ti troverai davanti a Dio, potrai dirgli di aver seguito fedelmente Mosè?" E lui rispose: "Dio non mi domanderà mai: 'Perché non sei stato un Mosè?', ma 'Perché non sei stato Zusiya?'

mercoledì 1 agosto 2012

Acuire la consapevolezza


La parte più elevata dell'uomo, ciò che lo differenzia e lo mette al di sopra degli altri animali, è il suo essere consapevole. È la coscienza che fa la nostra gloria. Questa facoltà ci fa sentire più evoluti e più intelligenti degli altri esseri viventi. Ma non basta, perché la coscienza è condizionata come ogni altra cosa. Noi siamo la nostra coscienza, però la nostra coscienza è ben poco "nostra" - per lo più è formata dai genitori, degli insegnanti, dai religiosi, dai politici, dagli intellettuali, dai libri, dalla televisione, ecc. In altre parole, gran parte delle nostre idee, delle nostre convinzioni e dei nostri giudizi è presa dalle idee, dalle convinzioni e dai giudizi di altre persone. Indubbiamente noi operiamo una selezione e una sintesi di tutto questo materiale, ma resta il fatto che in origine non è nostro. Siamo fatti da tanti pezzi di altre persone, di altri cervelli. La nostra coscienza è in realtà una coscienza sociale.
Già essere consapevoli di questa condizione è una forma di illuminazione, perché ci fa capire che il nostro ego è un aggregato di altri ego e di altre coscienze. Ciò che credevamo "nostro", anche la parte più intima di noi, è pesantemente condizionata.
Nasce allora il problema, da una parte, di decondizionare la consapevolezza e, dall'altra parte, di acuirla. Decondizionare la coscienza significa rendersi conto che al nostro "volto originale" sono stati sovrapposte innumerevoli maschere e che è necessario scavare a fondo per ritrovare ciò che è più autentico. Si tratta in sostanza di un lavoro di spoliazione: togliere questa o quella maschera, questo o quell'atteggiamento, questa o quella convinzione, questo o quel valore... e cercare di sostituirli con qualcosa di veramente nostro.
Acuire la consapevolezza significa scendere dall'astrattezza e guardarci attorno con grande attenzione. Che cosa ci dice questo o quel luogo? Che cosa ci dice questa o quella persona? Sappiamo riconoscere gli altri, sappiamo dare ascolto ai segnali che ci vengono dal nostro stesso istinto? Riusciamo per esempio a capire le persone dal loro modo di parlare, dal tono della voce, dal linguaggio del corpo e dalla mimica facciale? Capiamo se una persona è arrabbiata, tesa, falsa, interessata, generosa, egoista, ecc.? Capiamo se ci piace o non ci piace, e perché?
Insomma acuire la consapevolezza è acuire la sensibilità, è essere più vivi e attenti nel mondo quotidiano.
La meditazione non si occupa dunque soltanto dei massimo sistemi. Ma anche di migliorare la nostra condizione. In ogni caso dobbiamo fermarci, rimanere immobili, osservare attentamente, apprendere, assorbire, ascoltare ed elaborare. Per la nostra stessa salute, per la nostra stessa felicità.