Ciò che ha avuto un inizio, avrà una fine: siatene certi. Però questo non ci deve far precipitare nella disperazione, perché è vero anche il contrario: ciò che ha avuto una fine, avrà un nuovo inizio. In fondo questa è la versione moderna di quella antica (ma semplicistica) idea che si debba rinascere.
Nella prospettiva delle oscillazioni degli opposti complementari, inizio e fine – come vita e morte – non sono poli separati, ma le due facce di un’unica soglia dinamica. La loro apparente opposizione è solo una costruzione logica: ciò che comincia è già inscritto nella possibilità di finire, e ciò che finisce apre inevitabilmente lo spazio a un nuovo inizio.
La vita non esiste senza la morte, e la morte non è negazione della vita, ma il suo compimento oscillante: il limite che la rende possibile. La tensione tra i due poli non è distruttiva, bensì generativa. È nel continuo passaggio tra nascita e morte che si struttura l’esperienza dell’essere.
Il pensiero occidentale, spesso ancorato all’idea lineare del tempo, ha concepito l’inizio e la fine come eventi assoluti, isolati e irripetibili. Ma se si osserva la realtà con lo sguardo oscillante, si comprende che ogni inizio è anche una fine di qualcos’altro, e ogni fine è già un inizio diverso. Così la vita non è un tratto chiuso tra due estremi, ma un ritmo che pulsa tra apparire e scomparire.
La diade vita/morte mostra dunque la reciprocità inversa che governa l’esistenza: quanto più ci si radica nella vita, tanto più si fa presente l’orizzonte della morte; e quanto più ci si avvicina alla morte, tanto più la vita si rivela intensamente. Non c’è un dominio esclusivo dell’uno sull’altro, ma un legame oscillante che li rende inseparabili.
In questo senso, parlare di immortalità come negazione della morte è un equivoco: significherebbe rompere l’equilibrio oscillante della diade. L’eternità, se esiste, non è un tempo senza fine, ma la vibrazione stessa della soglia che tiene insieme nascita e morte, inizio e fine, come polarità in continua trasformazione.
Come abbiamo visto, tutte le forze devono andare in coppie di poli contrapposti. E perché questa dovrebbe fare eccezione? Forse perché non sono coppie di forze misurabili e calcolabili come quelle della fisica? Ma abbiamo già visto che il terzo principio di Newton sull'azione e reazione deve essere esteso alle forze di tutti i campi. E volete che siano escluse forze potenti come la vita e la morte?
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Scrivi una stesura organizzata
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Ecco la tua stesura riorganizzata e resa più scorrevole, senza alterarne il senso profondo ma mettendone in rilievo la coerenza con la tua teoria delle oscillazioni degli opposti complementari:
Ciò che ha avuto un inizio, avrà una fine: siatene certi. Però questo non deve precipitarci nella disperazione, perché è vero anche il contrario: ciò che ha avuto una fine, avrà un nuovo inizio. In fondo questa è la versione moderna di quella antica – ma semplicistica – idea della rinascita.
Nella prospettiva delle oscillazioni degli opposti complementari, inizio e fine – come vita e morte – non sono poli separati, ma le due facce di un’unica soglia dinamica. La loro apparente opposizione è solo una costruzione logica: ciò che comincia è già inscritto nella possibilità di finire, e ciò che finisce apre inevitabilmente lo spazio a un nuovo inizio.
La vita non esiste senza la morte, e la morte non è negazione della vita, ma il suo compimento oscillante: il limite che la rende possibile. La tensione tra i due poli non è distruttiva, bensì generativa. È nel continuo passaggio tra nascita e morte che si struttura l’esperienza dell’essere.
Il pensiero occidentale, ancorato all’idea lineare del tempo, ha concepito inizio e fine come eventi assoluti, isolati e irripetibili. Ma se si osserva la realtà con lo sguardo oscillante, si comprende che ogni inizio è anche la fine di qualcos’altro, e ogni fine è già un nuovo inizio. La vita, così, non è un tratto chiuso tra due estremi, ma un ritmo che pulsa tra apparire e scomparire.
La diade vita/morte rivela la reciprocità inversa che governa l’esistenza: quanto più ci si radica nella vita, tanto più si fa presente l’orizzonte della morte; e quanto più ci si avvicina alla morte, tanto più la vita si rivela intensamente. Non c’è un dominio esclusivo dell’uno sull’altro, ma un legame oscillante che li rende inseparabili.
Parlare di immortalità come negazione della morte è dunque un equivoco: significherebbe rompere l’equilibrio oscillante della diade. L’eternità, se esiste, non è un tempo senza fine, ma la vibrazione stessa della soglia che tiene insieme nascita e morte, inizio e fine, come polarità in continua trasformazione.
E poi, perché questa diade dovrebbe fare eccezione? Abbiamo visto che tutte le forze vanno in coppie di poli contrapposti. Forse qualcuno obietta che qui non si tratta di forze fisiche, misurabili e calcolabili. Ma il terzo principio di Newton – ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria – deve essere esteso alle forze di tutti i campi, non solo a quelle meccaniche. E volete forse che siano escluse proprio le forze più potenti e decisive, come la vita e la morte?
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