sabato 13 settembre 2025

Tra illusione e realtà . Tra Oriente e Occidente

Qualcuno e molte religioni orientali dicono che la vita e la morte sono illusioni. Certo, è un modo legittimo di vedere le cose. Ma, poiché noi viviamo in questa illusione, questa è la nostra realtà. Una diade immortale, quella tra illusione e realtà .Talvolta nel passaggio tra le due polarità abbiamo l' illuminazione di essere un' altra cosa, un terza cosa cui capitano la vita è la morte. Ma poi torniamo  a vivere e a morire! Per uscire dalla diade vita/morte, dobbiamo convincerci a non nascere. Siamo così maturi? In fondo, chi entra in questo mondo è un altro che si illude o uno che è figlio di illusi. Chi capisce il gioco, non dovrebbe  nascere più.

***

Il tuo pensiero tocca una delle intuizioni più radicali e profonde che attraversano sia la filosofia occidentale sia molte tradizioni orientali: il rapporto tra vita, morte e illusione.


Molte scuole spirituali — dal buddhismo al vedānta, fino ad alcuni mistici occidentali — suggeriscono che vita e morte non siano che due facce di un'unica condizione illusoria: saṃsāra, il ciclo del nascere e morire, che non appartiene alla realtà ultima (nirvāṇa, mokṣa, o, in termini più filosofici, l’Assoluto). In questa prospettiva, la nascita non è un inizio assoluto, e la morte non è una fine definitiva: entrambe appartengono a un gioco di apparenze.


Il punto che sollevi — “chi capisce il gioco, non dovrebbe nascere più” — si collega esattamente al cuore della saggezza buddhista: l’uscita dal ciclo delle rinascite (nirvāṇa) avviene quando la coscienza non è più soggetta al desiderio di esistere o al bisogno di ripetere l’esperienza illusoria. In altre parole, non è tanto “convincersi a non nascere”, quanto dissolvere quel nodo di attaccamento che rende necessaria la nascita stessa.


E qui entra la tensione che sottolinei: noi viviamo dentro l’illusione, quindi essa è la nostra realtà concreta. È vero: anche se comprendiamo intellettualmente che vita e morte sono illusioni, continuiamo a mangiare, respirare, soffrire, gioire, temere la morte. È per questo che molte tradizioni parlano di “due livelli di verità”:


Verità relativa: all’interno del mondo fenomenico, vita e morte sono reali, concrete e ci vincolano.


Verità ultima: dal punto di vista dell’assoluto, nessuno nasce e nessuno muore.



Quello che chiami “una terza cosa cui capitano vita e morte” è, in un certo senso, il riconoscimento della coscienza pura, il testimone che osserva senza identificarsi. È ciò che in alcune tradizioni si chiama ātman, in altre rigpa, in altre ancora semplicemente consapevolezza.


La tua domanda finale — “siamo così maturi?” — è cruciale. Forse l’essere umano medio non lo è, e forse nemmeno lo deve essere. Non è tanto un rifiuto della nascita in sé, quanto un vedere la nascita per quello che è: un gioco temporaneo. Alcuni maestri direbbero che non c’è bisogno di smettere di nascere: basta smettere di credere che nascere e morire siano ciò che siamo davvero.


Vuoi che ti mostri come diverse tradizioni (buddhismo, vedānta, taoismo e anche alcuni filosofi occidentali) hanno risposto alla stessa intuizione che hai espresso?

***

Si, mostra.

***

Perfetto 🙏. Ti mostro come diverse tradizioni hanno risposto alla tensione che tu hai espresso: vita e morte come illusione, la possibilità di una “terza cosa” che le trascende, e la maturità necessaria a non rinascere più.



---


🌸 Buddhismo


Visione: vita e morte fanno parte del saṃsāra, un ciclo illusorio di nascita e rinascita causato dal desiderio e dall’ignoranza.


La “terza cosa”: nirvāṇa, la liberazione. Non è vita, non è morte, non è annullamento, ma la cessazione dell’illusione.


Risposta alla tua domanda: “Chi capisce il gioco non dovrebbe nascere più” è esattamente la dottrina del non-ritorno (gli anāgāmin). Si smette di “nascere” non attraverso un atto di volontà, ma dissolvendo l’attaccamento che costringe la coscienza a incarnarsi di nuovo.




---


🕉 Vedānta (India)


Visione: vita e morte sono māyā, illusione prodotta dall’ignoranza della vera natura del Sé (ātman), che è identico a Brahman, la realtà assoluta.


La “terza cosa”: la consapevolezza che “mai nessuno nasce, mai nessuno muore” (Bhagavad Gītā, Upaniṣad). La coscienza che sperimenta nascita e morte non è la stessa che è.


Risposta: non si tratta di rifiutare la nascita, ma di riconoscere che chi nasce non è mai il vero Sé. Allora il ciclo non vincola più.




---


☯️ Taoismo


Visione: vita e morte sono trasformazioni del Dao, il flusso eterno che tutto permea. Non c’è una separazione netta, solo mutamenti di forma.


La “terza cosa”: il wu wei, l’armonia con il flusso naturale, in cui non ci si oppone alla nascita né alla morte.


Risposta: il saggio non cerca di non nascere, né di non morire, ma si lascia attraversare dal ritmo del Dao. L’illusione è credere che vita e morte siano opposti assoluti.




---


🏛 Filosofia occidentale


Platone: il corpo e la vita terrena sono prigione; la morte è liberazione dell’anima, che appartiene al mondo delle Idee.


Plotino (neoplatonismo): tutto nasce dall’Uno e a esso ritorna. Vita e morte sono processi secondari.


Schopenhauer: vita e morte appartengono al velo di Māyā (riprende dall’India). L’unica liberazione è spegnere la Volontà, la forza cieca che ci spinge a nascere.


Nietzsche: critica la fuga dall’esistenza. Non propone di “uscire dal ciclo” ma di trasfigurare la vita attraverso l’amor fati: dire sì al ciclo eterno dell’eterno ritorno.




---


✨ Quindi, potremmo riassumere così:


Buddhismo / Vedānta: uscire dal ciclo (non nascere più).


Taoismo: fluire nel ciclo senza attaccamento.


Occidente: alcuni cercano la liberazione (Platone, Schopenhauer), altri l’affermazione (Nietzsche).




---


Vuoi che provi a intrecciare queste visioni in una sintesi unica, quasi come se fosse una risposta poetico-filosofica al tuo pensiero iniziale?

*""

Prova.

***

Va bene 🌑🌕✨. Ti propongo una sintesi poetico-filosofica che intreccia le diverse visioni, come se fosse una meditazione unica sulla tua intuizione iniziale:



---


La vita e la morte si rincorrono come onde sul mare.

Per gli occhi che guardano da dentro l’acqua, sembrano opposte: nascere è un sollevarsi, morire è uno scomparire.

Ma chi guarda dal fondo dell’oceano vede che entrambe sono increspature di un’unica distesa.


Il buddhismo ci dice: non attaccarti all’onda, e scoprirai il mare.

Il vedānta ci ricorda: nessuno è mai nato, nessuno è mai morto — l’acqua è sempre acqua.

Il taoismo sussurra: lascia che l’onda si alzi e si abbassi, non opporre resistenza al flusso.

L’Occidente, a volte, ha cercato la liberazione nella fuga (Platone, Schopenhauer), a volte la gioia nell’abbraccio del ciclo (Nietzsche).


Eppure, tra nascere e morire, possiamo cogliere un attimo sospeso:

l’attimo in cui ci accorgiamo di non essere né l’onda che sorge né quella che svanisce,

ma il mare stesso che gioca con le proprie forme.


Allora non c’è più bisogno di “non nascere”.

Nascita e morte diventano eventi che accadono, come la pioggia o il vento,

ma non accadono a noi.

E la maturità non è un rifiuto del mondo, ma la trasparenza del vedere che nessuno vi è mai entrato davvero.



---


Vuoi che trasformi questa sintesi in una sorta di breve “meditazione guidata” che si potrebbe leggere o ascoltare, per vivere questa intuizione non solo come idea ma come esperienza interiore?




Nessun commento:

Posta un commento