Un giorno un discepolo domandò al maestro zen Magu Baoche che si faceva vento con un ventaglio: "Se la natura del vento è sempre presente, perché usi un ventaglio?"
Il maestro continuò a sventolarsi.
Il discepolo ripeté la domanda: "Se il vento è dappertutto, perché usi un ventaglio?"
Il maestro continuò a farsi vento con il ventaglio.
Il discepolo capì e ringraziò con un inchino.
Come sempre capita nello Zen, il discorso riguarda la natura ultima o prima della realtà, che secondo la dottrina è sempre presente ed è originariamente illuminata. Il monaco, dunque, domanda: "Se la nostra natura è illuminata fin dall'inizio, se è presente dappertutto, se la possediamo da sempre, che bisogno abbiamo di meditare?"
E il maestro Magu, continuando a sventolarsi con il ventaglio, è come se rispondesse: "Anche se siamo tutti illuminati, dobbiamo comunque praticare e sforzarci per ottenere l'illuminazione.
Noi diremmo che siamo tutti potenzialmente illuminati, ma che, per esserlo in atto, dobbiamo compiere qualcosa di nostra iniziativa e impegnarci per raggiungere l'illuminazione.
Nel Mahaparinirvana Sutra si dice: "Tutti gli esseri viventi senza eccezioni possiedono la natura di Buddha". Ma, per "realizzarla", per porla in atto, dobbiamo appunto compiere una certa azione - che consiste nella pratica della meditazione. La natura luminosa di Buddha, l'illuminazione, viene talvolta paragonata ad un diamante che in origine è coperto di roccia e detriti. Se vogliamo liberarlo, dobbiamo compiere un lavoro di "pulitura": dobbiamo eliminare la roccia e i detriti e lucidarlo.
In questo caso le rocce e i detriti rappresentano tutte le sovrastrutture mentali e culturali, tutti i condizionamenti, tutti i concetti, tutte le parole con cui nascondiamo la nostra originaria natura luminosa.
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