Che cosa sia la vera religione è difficile dirlo. Ogni tradizione
dice di essere quella vera, negando quindi l’autenticità delle altre. Tutte vi
inducono a venerare questo o quel Dio e hanno i loro culti, i loro rituali, i
loro libri sacri e i loro profeti o salvatori.
Già la loro molteplicità ci dice che siamo in un ambito terreno
parecchio antropomorfo e storicamente condizionato. Ma, grosso modo, tutte si
riferiscono a qualche immagine di un Dio creatore e giudice, cui si deve
obbedienza cieca.
Queste religioni dominano le coscienze degli esseri umani,
inculcando loro principi, idee, dogmi, visioni, norme di comportamento, interpretazioni
e concetti. Ma non possiamo dire che abbiano portato la pace nel mondo né che
abbiano risolto il problema dei loro stessi fondamenti.
Esiste comunque un altro modo di interpretare la religione: non
credere in un Dio e in qualche “Chiesa” più o meno reazionaria, ma sviluppare
una propria consapevolezza, mantenendo la sensazione di essere e domandandosi
come sia potuta nascere la coscienza dell’ “io sono” e che cosa ci fosse prima
e che cosa ci sarà dopo.
Che tutto sia destinato a scomparire è certo e che ci siano reincarnazioni
o “aldilà” paradisiaci (e infernali) non è mai stato provato. Anche la bontà e
la perfezione del mondo sono quanto mai dubbie: tutti conosciamo dolori,
malattie, difetti, malformazioni e sofferenze che non depongono a favore di un
disegno divino caritatevole.
Senza inventarci nulla, senza fantasticare su miti e attenendoci a
ciò che possiamo verificare, ci aspetta verosimilmente uno stato di
annullamento del corpo, della mente, della coscienza e dello stesso essere, che
può essere visto però non come una scomparsa nel niente, ma come un ritorno ad
un tutto indiviso. Prima dello spazio e del tempo, prima dell’essere e del non
essere, prima del dualismo della coscienza. Questo appare eterno, tutto il
resto è sicuramente contingente.
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