Certamente, l’essere (la sensazione di essere) e la coscienza sono
funzioni meravigliose, in apparenza disincarnate, ma che cosa sarebbero senza
il cibo? Non potrebbero esistere. È per questo che un’antica Upanisad
(Taittiriya) si conclude con un inno al cibo (anna). Senza questo elemento, che sembra così materiale, niente
potrebbe esistere. “Dall’alimento nascono le creature:/ quelle che si trovano
sulla terra/ vivono solo di nutrimento/ e alla fine della loro esistenza ad
esso ritornano”.
Il cibo viene dunque considerato il principio divino che fluisce nel
cosmo e che permette ogni altra cosa: il respiro, il pensiero, la conoscenza e
la felicità.
“Io sono il cibo, io sono il cibo, io sono il cibo,
io sono mangiatore di cibo, io sono mangiatore di cibo, io sono
mangiatore di cibo,
io sono poeta, io sono poeta, io sono poeta,
io sono il primogenito di questo ordine cosmico [rta].
Prima che esistessero gli dei io ero nell’ombelico dell’immortalità,
colui che a me dona, costui mi aiuta,
io, che sono cibo, mangio il mangiatore di cibo,
io ho superato tutto l’universo.” [trad. Pio Filippani Ronconi]
È facile constatare che senza il cibo, non ci sarebbe niente. Il
cibo non è semplice materia – è vita. E non è qualcosa di semplice. È già essere,
coscienza e spirito… e violenza.
Basta guardare un pezzetto di terreno e lo vediamo brulicare di
vita. Ma qui ci accorgiamo di una particolarità per così dire sgradevole. Ogni
essere vivente, per procurarsi il cibo, deve mangiare (e quindi sopprimere) altri
esseri viventi, vegetali e/o animali.
Non è una bella caratteristica, perché porta nel mondo un conflitto
mortale. La vita si basa sulla morte.
Questa constatazione ci dà la dimensione tragica dell’esistenza,
la sua violenza. Se osserviamo come si svolge la vita in un territorio
selvaggio scopriamo che è tutto una guerra: chi preda e chi è predato. E l’uomo
non fa eccezione: ha semplicemente organizzato per sé uno sterminio programmato
delle altre forme di vita, anche quando si siede tranquillamente a tavola con
forchetta e coltello.
Se c’è un Dio, è una specie di macellaio. Anche l’uomo finirà
divorato dai vermi.
Ma forse la morte va vista con più distacco: l’uccisione a scopo nutrizionale
è in realtà un tentativo di assimilazione. Ognuno di noi, per vivere, deve cercare
di assimilare in sé tante altre forme di vita… Finché l’uomo stesso sarà
assimilato.
La morale della favola è questa: tutti uccidono e vengono uccisi per assimilarsi a tutti.