In Occidente c'è stata, purtroppo, una totale divaricazione tra filosofia e saggezza - anche se, all'inizio, per esempio tra i presocratici, non era così (Eraclito, per esempio, era anche un saggio). Per noi un filosofo è un pensatore che cerca la verità con l'uso della ragione. Così abbiamo la possibilità che un uomo del genere riesca a capire qualcosa di importante sul funzionamento del mondo o sulla struttura dell'uomo, ma che non sia affatto un saggio.
Il saggio, infatti, non disprezza la ragione e può anche condurre ricerche razionali, ma sa anche che, per raggiungere la verità-realtà, per comprendere la natura ultima delle cose, bisogna ottenere un certo stato d'animo, fatto di calma, di distacco dalle beghe del mondo, di equanimità e di equilibrio. La verità ultima si rivela non tanto all'uomo che cerca di razionalizzarla e di cercarla con il pensiero, quanto all'uomo che raggiunge in sé una certa condizione psico-fisica. La verità non è un fatto mentale, ma uno stato di tutto l'essere; in tal senso, il pensiero razionale, con le sue categorie dualistiche e reificanti, con la sua tensione e con le sue limitazioni linguistiche, con le sue metafore astratte, con il suo inquadramento logico-grammaticale, è qualcosa che allontana dalla verità-realtà. È soltanto nel silenzio della mente che si affaccia "ciò che è".
Dunque, qualunque tecnica volta a calmare la mente ci predispone a comprendere la verità meglio di tanti sillogismi logici.
Questo non significa che la logica o la conoscenza filosofica siano insignificanti. No, prima bisogna conoscere tutto ciò che gli uomini hanno pensato; ma, poi, bisogna avere la saggezza di metterlo da parte. E di percorrere la via della realtà in prima persona, senza troppi pesi intellettuali che ci ostacolino il cammino. Leggeri, silenziosi, attenti, sensibili.
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