lunedì 9 luglio 2012

Oltre il dualismo


La paura della morte è collegata ovviamente alla convinzione dell' "io sono". Penso, dunque sono. Penso, dunque sono cosciente di essere. Ma questa convinzione resta un prodotto mentale. Noi pensiamo di essere vivi, di essere un io. Questa è l'impostazione di partenza. Un albero o un animale non pensano di essere vivi - lo sono e basta. Noi aggiungiamo una coscienza. Se crediamo nell'essere vivi, nell'essere un io, abbiamo paura di essere privati della vita e dell'io. Se però questo essere vivi e questo io non fossero che un prodotto della mente, chi potrebbe morire?
È la coscienza che commette l'errore, che compie la discriminazione. Perché, per essere coscienti, dobbiamo dividerci in due: il soggetto e l'oggetto. In questa divisione nasce l'idea di essere separati. La coscienza è separazione. La coscienza distingue non solo il soggetto che è cosciente dall'oggetto di cui è consapevole (l'io separato), ma anche tutte le coppie di opposti: inizio-fine, vita-morte, ecc.
In sostanza è la coscienza che crea le idee di separazione e di contrapposizione, distinguendo arbitrariamente realtà che sono inseparabili. Ma non c'è una netta contrapposizione fra vita e morte. Si tratta di trasformazioni. Siamo sempre vivi, anche se in forme differenti, e non siamo mai definitivamente morti.
È questo che dobbiamo imparare a percepire, passando da una comprensione intellettuale della complementarità degli opposti ad una vera e propria esperienza. Non c'è inizio, non c'è fine. C'è un processo di continua evoluzione.
Per esempio, per noi il sole tramonta e sorge: questa è la nostra esperienza. Ma, conoscendo a fondo le cose, apprendiamo che il sole non sorge e non tramonta. E, se un giorno si estinguerà, continuerà a esistere in qualche altra forma, in un buco nero o chissà che altro.
La consapevolezza che dobbiamo acquisire non è più lo stato dualistico della coscienza che divide e contrappone, ma la visione che trascende gli opposti e che li contempla entrambi, comprendendoli.

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