martedì 24 luglio 2012
L'ultimo atto del paganesimo
Quando entriamo in una chiesa cristiana, ci rendiamo subito conto che abbiamo a che fare con un'espressione dell'antico (e mai morto) paganesimo: statue, quadri, affreschi, vetrate dipinte, ecc. Talvolta si tratta di opere d'arte, talvolta di paccottiglia di cattivo gusto. Ma quel che si nota è che tutto è predisposto non per meditare o per pensare a Dio, bensì per pensare ad altro. Almeno nei templi musulmani regna il vuoto e il divieto di riprodurre immagini, il che predispone il fedele a concentrarsi sulla trascendenza. Invece nel culto cristiano si fa di tutto perché la mente sia distratta. Il cristiano non sa neppure più dove si trovi o che cosa sia Dio; è abituato a vedersi mediare ogni slancio spirituale dalle immagini di qualche Cristo, di qualche Madonna o di qualche santo.
D'altronde, che molti miti cristiani siano stati presi dal paganesimo è evidente. Per esempio, il mito dell'accoppiamento di Dio con una vergine terrestre è semplicemente l'ultima avventura del buon vecchio Zeus. Ecco come ne parla scherzosamente Osho, che racconta la seguente storiella:
"Dio è depresso. San Pietro suggerisce di fare un viaggio sulla Terra e abbordare una simpatica ragazza greca, possibilmente vestita come all'epoca classica, con un semplice gonnellino molto al di sopra del ginocchio.
"Dio commenta: 'No, un tempo la cosa mi divertiva, e per secoli le ragazze greche mi hanno veramente appassionato. Ma da quella volta in cui feci l'errore imperdonabile di andar dietro a una giovane ebrea, duemila anni fa... maledetti loro, ancora ne parlano' " [Osho, La mente che mente, Feltrinelli, 2006].
Non c'è quindi da meravigliarsi che la civiltà cristiana sia diventata quello che è: la prevalenza dell'apparire sull'essere.
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