giovedì 9 giugno 2022

Una radicale mortalità

 

Le cose sono impermanenti, insoddisfacenti, cambiano di continuo e sono destinate al dissolvimento – e questo non può non generare una sofferenza in chi ne è consapevole. Ma la maggior parte della sofferenza non deriva da queste caratteristiche, bensì dal nostro attaccamento. Noi siamo attaccati a cose che mutano di continuo e vanno verso la distruzione, compresi noi stessi e la nostra vita.

Il Buddhismo fa per esempio del desiderio e dell’attaccamento proprio ciò che genera sofferenza. Ed è impossibile dire che non sia così.

Ma si può non essere attaccati alla moglie, ai figli, a certe proprietà e a noi stessi? Certamente no.

E quindi l’unica soluzione sarebbe ridursi a vivere come i monaci buddhisti, senza donne e senza proprietà. Ma è possibile per noi? Direi proprio di no.

Ci rimane dunque di essere il meno attaccati alle cose e alle persone, per evitare di moltiplicare i motivi di infelicità. In fondo possiamo rinunciare a un sacco di cose e di relazioni.

E poi quello che conta è semplicemente rendersi sempre più conto che le cose e le persone sono nostre solo temporaneamente. Anche di noi stessi siamo padroni per un tempo limitato.

Niente è veramente nostro.

Questa verità viene nascosta da quelle religioni che parlano di eternità. Esse ci dicono che abbiamo un’anima immortale, che non perderemo mai. Ma, a parte il fatto che non esiste nessuna prova di qualcosa che duri in eterno (la legge è che tutto è impermanente), ci sembra che questo tipo di fede nasca proprio dal desiderio di nascondere la verità, di non accettare la nostra radicale mortalità.

Nessun commento:

Posta un commento