giovedì 25 aprile 2013
La povertà secondo Gesù
Gesù si è sempre occupato dei ricchi e dei poveri. Essendo un poveraccio aveva un'avversione istintiva per i ricchi, un'avversione che raggiunge punte insospettabili in un uomo che era venuto a predicare l'amore verso il prossimo, ed è seconda soltanto a quella per i farisei. «Guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra ricompensa. Guai a voi che ora siete sazi, perché soffrirete la fame. Guai a voi che ora ridete, perché sarete tristi e piangerete» (Lc 6, 24-25). Questa è la logica di Gesù: chi ha qualcosa sulla terra, chi ha già qualche consolazione, la pagherà nell'aldilà. Viceversa, chi non ha nulla, chi è povero, chi ha fame, chi soffre, riceverà una grande ricompensa. «Beati voi, poveri, perché il regno di Dio è vostro. Beati voi che ora avete fame, perché Dio vi sazierà. Beati voi che ora piangete, perché sarete felici [...] Rallegratevi, perché grande sarà la vostra ricompensa nei cieli» (Lc 6, 20-23). In effetti, se «là dove sono le nostre ricchezze, lì è il nostro cuore», è vero anche il contrario: là dove è il nostro cuore, lì è anche il nostro vero interesse. La ricchezza rende dunque impossibile una reale «conversione» del cuore, ossia una dedizione totale a Dio. Su questo punto Gesù è drastico: non prevede vie di mezzo. «Non si possono servire due padroni: o si odierà l'uno o si amerà l'altro, oppure si preferirà l'uno e si disprezzerà l'altro. Non potete servire Dio e Mammona» (Mt 6, 24). Non è un caso che Mammona (il denaro, la ricchezza, il potere) venga contrapposto a Dio. Nei fatti, esso è il Dio di questa terra, ovvero ciò cui gli uomini dedicano la maggior parte del loro interesse e dei loro sforzi. Per sapere in quale dio crede un uomo, basta vedere a che cosa dedica più energie. Ecco perché Gesù invita alla rinuncia: «Vendete tutto ciò che avete e datelo in elemosina: procuratevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro in cielo, dove i ladri non arrivano e la ruggine non consuma» (Lc 12, 33). «Chi non rinunzia a tutto ciò che ha, non può essere mio discepolo» (Lc 14, 33). Non si tratta quindi di una rinuncia da poco, di rinunciare soltanto a delle cose. «Mammona» è in realtà il simbolo di tutto ciò che distrae l'uomo da Dio. Come abbiamo visto nel discorso sugli uccelli che non seminano e non mietono e sui gigli che non filano, anche la comune attività lavorativa è per Gesù un fattore negativo. I ricchi, nei Vangeli, non sempre hanno colpe specifiche. Prendiamo per esempio la parabola di Lazzaro:
«C'era una volta un uomo molto ricco che aveva vestiti lussuosi e tutti i giorni faceva grandi banchetti. Vicino alla sua porta giaceva un mendicante di nome Lazzaro che era coperto di piaghe e che aspettava di sfamarsi con gli avanzi della mensa di quel ricco. Perfino i cani venivano a leccargli le piaghe.
«Un giorno il povero morì e gli angeli lo portarono in cielo, accanto ad Abramo. Poi morì anche il ricco e fu sepolto; finì all'inferno tra mille tormenti. Sollevando lo sguardo, vide in lontananza Abramo e Lazzaro che era con lui. Allora si mise a gridare: «"Padre Abramo, abbi pietà di me! Manda Lazzaro a intingere la punta di un dito nell'acqua e poi a bagnarmi la lingua, perché queste fiamme mi bruciano". «Ma Abramo gli rispose: «"Figlio mio, ricordati che in vita hai già ricevuto i tuoi beni, mentre Lazzaro ha ricevuto i suoi mali; ora, invece, lui è felice e tu soffri. Per di più, da lì a qui c'è un grande abisso: chi volesse passare da noi a voi, non potrebbe farlo; e nessuno di voi potrebbe venire da noi [...]"» (Lc 16, 19-26).
La spietatezza della giustizia divina viene così giustificata: è vero che il ricco non ha commesso attivamente il male, ma ha scavato fra sé e gli altri – e quindi fra sé e Dio – quell'«abisso» che ora lo ostacola. In questa parabola, tuttavia, il contrasto fra povertà e ricchezza è stridente, e grida veramente vendetta. Però non bisogna farsi fuorviare: la colpa dei ricchi non è quella di non fare beneficenza, ma semplicemente di essere ricchi.
La ricchezza, per Gesù, è un male in sé. Un'altra parabola lo spiega molto bene: «Un uomo importante chiese un giorno a Gesù: "Maestro buono, che cosa devo fare per ottenere la vita eterna?" E lui gli rispose: "Perché mi chiami buono? Di buono c'è solo Dio. Tu conosci i comandamenti: non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non dire il falso, rispetta tuo padre e tua madre". «L'uomo replicò: "Ma tutto ciò io l'ho osservato fin da giovane!" « A questa risposta, Gesù disse: "Una sola cosa ti manca ancora: vendi tutto ciò che possiedi, distribuisci il ricavato ai poveri e così avrai un tesoro in cielo. Poi vieni e seguimi". «Udite queste parole, l'uomo si fece molto triste, perché era assai ricco. E se ne andò» (Lc 18, 18-23). Come si vede, questo giovane ricco non ha nessuna colpa; anzi, è migliore di tanti altri, poveri compresi. Il suo unico difetto è di essere ricco.
La ricchezza viene dunque vista come un ostacolo alla salvezza. Viceversa, il povero – solo in quanto povero – si merita la salvezza. L'odio di Gesù per i ricchi non lascia loro quasi nessuno scampo. E, in realtà, non lascia scampo quasi a nessuno. Perfino i discepoli se ne accorsero, così com'è documentato dal proseguimento della precedente parabola:
«"In verità vi dico che difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli. Vi assicuro che è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio". A queste parole i discepoli si rattristarono molto e domandarono: "Ma, allora, chi si potrà salvare?" Gesù li guardò e rispose: "Per gli uomini è impossibile, ma per Dio tutto è possibile"» (Mt 19, 23-26). Anche Gesù, dunque si rende conto di chiedere un po' troppo. Tuttavia non cede di un palmo. Il suo motto sembra essere: o tutto o niente. Pietro, in quell'occasione, prese la parola e disse: «Noi abbiamo abbandonato tutto per seguirti. Che cosa otterremo in cambio?» E Gesù ribadì: «Quelli che, per causa mia, avranno lasciato fratelli, sorelle, padre, madre, case o campi, riceveranno cento volte di più e avranno in eredità la vita eterna» (Mt 19, 29). La rinuncia che egli chiede è insomma totale. Tant'è vero che giunge anche a chiedere di «rinunciare a se stessi» (cf. Mt 16,24).
Non bisogna però farsi ingannare dalla retorica. Alcuni apostoli erano sposati e non rinunciarono certo alle mogli. E lo stesso Gesù, pur non possedendo nulla, veniva mantenuto dai beni altrui. Resta il fatto che, contro i ricchi, il Nazareno, forse ricordandosi delle sue umili origini, scatena tutta la sua violenza verbale. Tuttavia la tesi di Gesù apparve troppo semplicistica perfino agli evangelisti, se è vero che Matteo sentì il bisogno di chiarire nel discorso sulle «beatitudini»: «Beati i poveri in spirito [...]». In tal modo, la povertà non è più il semplice fatto di non possedere niente, ma si trasforma in una qualità morale, ossia nella capacità di superare il senso di attaccamento e l'egoismo.
Anche Gesù, del resto, finì per riconoscerlo, mitigando così, almeno in questo caso, il suo assolutismo. Episodio decisivo fu quello del ricco Zaccheo:
«Entrato nella città di Gerico, Gesù la stava attraversando. Qui c'era un uomo di nome Zaccheo, ricco capo dei pubblicani, che voleva vederlo, ma, essendo basso ed essendoci molta folla, non ci riusciva. Allora corse avanti e salì su un albero, in un punto in cui Gesù sarebbe passato e dove avrebbe potuto vederlo.
«Giunto sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: "Scendi subito, perché oggi devi ospitarmi a casa tua." Zaccheo scese in fretta, colmo di gioia.
«Vedendo queste cose, la gente si mise a criticare Gesù: "E andato a casa di un peccatore!" Ma Zaccheo, in piedi davanti al Signore, gli disse: "Signore, dono la metà dei miei beni ai poveri e, se ho imbrogliato qualcuno, gli restituisco quattro volte tanto".
«Allora Gesù rispose a Zaccheo: "Oggi la salvezza è entrata in questa casa: anche tu sei figlio d'Abramo. Il Figlio dell'uomo è venuto proprio a cercare e a salvare chi si era perduto"» (Lc 19, 1-10).
Noi non sappiamo se, alla fine dell'operazione, al ricco Zaccheo sarà rimasto qualcosa, ma è da presumere che egli non abbia rinunciato proprio a tutto.
La condanna della ricchezza è comunque senza mezze misure. Vivendo in una società di pesante sfruttamento, egli pensa che dietro ogni ricco vi sia iniquità ed egoismo. Viceversa crede che il povero sia un buono. «Dio ha scelto i poveri nel mondo per farli diventare ricchi di fede e per far loro ereditare il regno» troviamo scritto in una lettera apostolica inclusa nel Nuovo Testamento (Gc. 2,5).
Questa convinzione era certamente condivisa da Gesù. Egli s'illudeva che i poveri sarebbero stati i realizzatori del regno di Dio. In realtà, nelle vicende evangeliche, i poveri non appaiono portatori di particolari valori religiosi. I miserabili, gli storpi, i ciechi, i disoccupati, i lebbrosi, i pazzi e gli indemoniati non sono migliori degli altri. Accanto a servitori spietati, fattori infedeli, sacerdoti egoisti e scribi ipocriti, troviamo centurioni caritatevoli, pubblicani convertiti, farisei pieni di fede, padroni giusti e operai oziosi. Tutto sommato, il popolino diseredato non fa mai una bella figura: si fa abbagliare dal potere di Gesù, ma non ne capisce il messaggio. «Avete occhi, ma non vedete; avete orecchi, ma non udite». Questa stessa folla che è pronta ad acclamarlo quando compie prodigi, è anche pronta ad abbandonarlo quando lui diventa uno di loro, spogliato e umiliato. Anzi, sarà proprio questa gente a scegliere Barabba al posto di Gesù. E sarà un ricco membro del Sinedrio, Giuseppe d'Arimatea, ad avere il coraggio, mentre tutti i discepoli sono nascosti, di andare a chiedere a Pilato il corpo del giustiziato. I veri protagonisti dei Vangeli non sono mai i miserabili, che appaiono semplici comparse sullo sfondo, ma una classe intermedia che appoggia o contrasta Gesù.
Già ai primi cristiani apparve evidente che povertà e sofferenza non rendono migliori gli uomini. La vera «povertà in spirito» non è appannaggio di nessuna classe sociale. Anzi, è facile che la miseria soffocante, la sofferenza senza speranza, la sventura irrimediabile, non avvicinino affatto gli uomini al regno di Dio. [Da L'altro Gesù].
Quello che manca completamente al messaggio cristiano è l'idea di una giustizia retributiva da attuare, non nell'aldilà, ma qui e subito. Perché i ricchi devono essere ricchi e i poveri devono essere poveri - chi lo ha stabilito? E perché il cristiano non si fa propugnatore attivo di una redistribuzione dei beni, qui sulla terra? Non basta un po' di carità ad assicurare giustizia. È noto che, alla fine del secolo scorso, in America Latina, si diffuse anche tra i cristiani l'idea di una "teologia della liberazione" per assicurare a tutti una giusta retribuzione; idea che del resto apparteneva già al socialismo e al comunismo. Ma gli ultimi due Papi hanno strenuamente combattuto questa idea rivoluzionaria, cancellando ad uno ad uno i preti che la sostenevano. Ecco perché il cristianesimo non è credibile quando parla di povertà e di ricchezza; non fa in sostanza nulla per migliorare le cose, per combattere il capitalismo di rapina e le enormi differenze sociali. Si limita a fare un po' di carità (che non ha mai risolto il problema di base) e a beatificare i poveri nell'aldilà. Troppo poco. La giustizia deve essere assicurata innanzitutto qui sulla terra. E chi non lotta per farlo è di fatto corresponsabile delle scandalose condizioni in cui si trovano i poveri in questo mondo. Anche l'idea di san Francesco di farsi povero tra i poveri, lui che era ricco, è completamente sbagliata. Non è il ricco che deve farsi povero; è la società che deve assicurare ai poveri i giusti mezzi di sussistenza.
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E' vero che il messaggio di Gesù è radicale, ma è indirizzato ad ognuno di noi.
RispondiEliminaNon riesco a confondere Gesù con le varie sette che nel corso dei secoli si sono costituite "in Suo nome".
In 2000 anni non è cambiato niente: i soldi e le armi governano.
Osservo la "mia" vita non sono riuscito a cambiare una virgola della mia vita, mi volto indietro e non rifarei quasi niente di ciò che ho fatto.
Allora è proprio vero, e qui intendo le parole di Gesù: cambio me stesso, o almeno ci provo. Il mondo lo osservo e lo lascio alla sua follia.
cari saluti