Che l’aborto sia il peggior delitto è naturalmente un’invenzione della Chiesa, tant’è vero che in tutti gli Stati moderni è permesso entro certi limiti. Quale scala di valori si adotta infatti per stabilire la gravità di un peccato? Tutto dipende da come si risponde a questa domanda. Se, per esempio, adottiamo il criterio della sofferenza, dobbiamo concludere che la sofferenza sociale provocata da un aborto, eseguito in privato, è infinitamente minore di quella provocata dalla pedofilia, dal razzismo o dallo sfruttamento sociale.
Se pensiamo all’attuale crisi mondiale e alle sofferenze provocate a milioni di persone da pochi speculatori finanziari, dobbiamo dire che questa sofferenze sono enormemente superiori a quelle provocate da qualunque donna che abortisca.
Perché allora la Chiesa se la prende con l’aborto? Perché, dice, è un peccato contro la vita. Ma si tratta di un’astrazione. Se per esempio il feto è affetto da gravi patologie, è molto meglio abortire che mettere al mondo un essere che dovrà soffrire moltissimo. Come, si vede, non è vero che la vita sia un diritto. Semmai, dovrebbe essere un diritto una “vita serena”. Ma a questo si oppongono appunto i ben più gravi peccati sociali dei razzisti, dei pedofili e degli sfruttatori che rendono un inferno l’esistenza di milioni di persone.
Forse la Chiesa se la prende tanto con l’aborto per cercare di rimettere in riga le donne, la cui emancipazione è considerata (come in tutte le religioni paternalistiche e maschiliste) la minaccia maggiore ai valori della sottomissione e dell’ubbidienza (al potere dei preti). O forse lo fa anche per distogliere da sé l’attenzione del mondo che vede nei preti pedofili uno dei più gravi pericoli per la società. Si sa come vanno queste cose: per nascondere la trave nel proprio occhio, si grida alla pagliuzza negli occhi degli altri. D’altronde, se non si crea un senso di colpa nelle anime, come si fa dominarle?
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