Un lettore mi scrive a proposito del mio post "La salita al Monte Carmelo":
"Non ci vuole uno sforzo per risvegliare la consapevolezza? Non bisogna lottare contro i propri condizionamenti, cercare di "ricordarsi di sé" per quanto ci risulti difficile, imparare a osservarsi e migliorare? Mi sembra che tutto questo percorso implichi un enorme sforzo. Potrebbe chiarirmi questo punto? Grazie..."
Sì, ci vuole un gran lavoro per migliorarsi, tanto che per molti di noi ci vorranno molte vite. Ma l'importante è aver incominciato. Quello che metto in dubbio, però, è l'idea che si debba combattere tutta la vita, come se si trattasse di una guerra. Non mi piace questa idea belligerante dell'esistenza, che finisce per aggravare tensione e sofferenza. Non siamo in guerra e non abbiamo in noi solo un nemico. Noi dobbiamo essere i migliori amici di noi stessi. Pur con tutti i nostri difetti, siamo venuti alla luce e abbiamo la possibilità di essere consapevoli. Abbiamo insomma già vinto un terno al lotto. Il problema non è combattere duramente contro noi stessi, oltretutto dividendoci drammaticamente in due. Questo era l'ascetismo antico. Bisogna imparara ad apprezzarci, a mollare ogni tanto la presa e a rilassarci.
Più si desidera e si cerca accanitamente, più ci si allontana dalla meta: i racconti zen sono pieni di storie in cui il protagonista ottiene l'illuminazione proprio nel momento in cui cede a lascia andare, dopo essersi tanto impegnato. Perché l'illuminazione non è solo un accanirsi ma anche un lasciar andare, non è solo un concentrarsi ma anche un aprirsi.
È vero che talvolta la vita sembra ed è una guerra. Ma anche in una guerra ci sono periodi di tregua, di amore e di amicizia. Se no, il mondo sarebbe un inferno.
Bisogna arrivare a saper alternare saggiamente concentrazione e distensione, impegno e rilassamento. Anche il respiro ha due fasi: quella in cui si inspira l'aria e si compie dunque uno sforzo e quella in cui si espira l'aria rilassando i muscoli del torace e del diaframma. Teniamo presente che la meditazione ha più a che fare con un sentimento di calma e di serenità che con l'agitazione e la durezza.
Essere presenti, essere consapevoli è sì uno sforzo, ma ha come premio un allargamento gioioso della conoscenza e dell'essere. Rendersi conto di ciò che stiamo facendo, sentendo o pensando è un allentare la pressione. Ogni tanto, periodicamente, prendiamo coscienza del nostro stato allargando l'orizzonte, magari proprio durante un'espirazione.
In conclusione la pratica della meditazione non deve trasformarsi in una sofferenza. Non dimentichiamoci ciò che dice Thich Nhat Hanh nell'opera La meditazione camminata: "Se siete siete in pace, liberi e pieni di gioia avrete trasformato il samsara [il ciclo della vita e della morte] nella Pura Terra e non ci sarà più bisogno di andarsene via".
La ringrazio per la disponibilità e la chiarezza...
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