Non so perché si festeggi il capodanno; un altro anno è passato, un altro anno ci viene sottratto: c'è da essere tristi, non felici. Ma forse festeggiamo per dimenticarci nel rumore la tristezza - a questo servono gli spari, i botti e il vino: a stordirci, a farci dimenticare che ci avviciniamo sempre di più alla fine.
Quest'anno, in Italia, soltanto un morto e cinquecento feriti, con dita mozzate, mani amputate e ferite da proiettili e da esplosioni. Che felicità!
Quanti siamo ? Cinque miliardi? Ebbene siamo cinque miliardi di esseri che sognano di essere vivi mentre ci avviciniamo alla morte; facciamo tutti lo stesso sogno: il sogno di essere vivi in questo mondo. Ma siamo vivi?
In realtà, se sogniamo, siamo mezzi vivi e mezzi morti, ci troviamo in uno stato di trance, siamo insomma addormentati. Per noi non c'è risveglio; il risveglio ci sarà solo all'ultimo momento di vita, quando ci accorgeremo che è stato tutto un sogno. Allora rientreremo in possesso della nostra vera identità, non di questa mezza condizione da zombie.
Però qualcosa è possibile farlo già adesso: è possibile renderci conto che stiamo sognando. Come faccio a dimostrarlo? La dimostrazione che viviamo in un sogno è che il sogno finisce, perché ogni sogno finisce. La morte è la prova che stiamo sognando, la morte è la fine del sogno.
Dobbiamo dunque sempre passare attraverso una morte per approdare alla realtà. La morte della mente che sogna. E il mezzo è sempre lo stesso: cercare di rendersi conto dello stato da sonnambuli in cui ci troviamo.
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