giovedì 24 giugno 2010

L'etica del tornaconto

Dispiace ascoltare il Presidente della Repubblica Italiana che prende le parti dell’obbligatorietà dell’esposizione del simbolo cristiano nei luoghi pubblici. A quali interessi avrà mai ceduto? Non a quelli dello Stato italiano, che è fagocitato e fatto a pezzi dal potere della Chiesa: uno Stato nello Stato, un cancro che corrode lo Stato creando dappertutto metastasi.

C’è un deficit di cultura in Italia, un deficit di riflessione. Non si vede che la crisi del nostro paese è essenzialmente una crisi etica – una crisi di quell’etica che è costituita proprio dalla radice cristiana.

Ed è questa etica che ci rende piccoli e corrotti. E non mi riferisco solo alla corruzione dei membri della Chiesa, in cui campeggiano preti pedofili e vescovi affaristi. No, mi riferisco alla struttura dell’etica cattolica, che è mediocre.

Benché Gesù in un’occasione scacci i mercanti dal Tempio, è in realtà permeato dalla cultura mercantilistica ebraica, al punto che in una parabola esordisce: “Il regno dei cieli è come un mercante...” E la parabola dei talenti è la perfetta espressione della mentalità religiosa levantina, in cui il problema centrale è “mettere a frutto” le buone azioni, farle rendere come se fossero un conto in banca. E Dio è il grande Ragioniere che dice: “Ora facciamo i conti...ora rendi conto della tua amministrazione...”

Una religione del genere non poteva dare origine ad una grande etica. Ma a un’etica commerciale.

In tal senso la religione è basata sull’economia, sulla partita doppia dei profitti e delle perdite. E non ha nessuna dimensione spirituale. È un’operazione di tornaconto.

Ed è il tornaconto, il piccolo tornaconto personale che rende piccola l’etica cristiana – e che rende piccola l’Italia cattolica. Ognuno pensa al proprio tornaconto personale, ed è indifferente all’interesse generale. In questa prospettiva manca la visione dello Stato. Sì, si dice: “Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”. Ma chi stabilisce la distinzione?

La Chiesa cattolica non ha mai riconosciuto lo Stato italiano, se non per quel che può ricavarne in termini di privilegi, di esenzioni e di contributi. Lo Stato rinuncia al proprio 8 per mille per darlo alla Chiesa – alla Chiesa che è la più grande proprietaria di immobili. Dovrebbe essere il contrario. È la Chiesa che dovrebbe dare il suo 8 per mille allo Stato e pagare le tasse sulle sue immense proprietà.

Quando perciò si difende il simbolo di questo modo di fare, non si fanno gli interessi dello Stato, ma gli interessi di un Antistato che divora l’Italia e la rende piccola e corrotta.

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