Nel
nostro irresponsabile ottimismo, che è in realtà una tendenza a non vedere
le cose così come sono, riteniamo che, nelle varie antinomie, ce ne sia una
positiva e l’altra negativa, una buona e l’altra cattiva. Ma agli occhi della
natura non è così. Se ci sono, vuol dire che sono positive entrambe, in quanto
due aspetti di un unico ciclo. Per esempio, siamo abituati a vedere l’amore
come il massimo del bene e l’odio (o l’ ”inimicizia”, come già pensava
Empedocle di Agrigento) il massimo del male… il tutto confermato dalle
religioni che ci invitano ad “amare il prossimo” e (spero) anche noi stessi.
Ma
guardiamo le cose dal punto di vista della natura (o di Dio). Non c’è né bene
né male, ma un’utilità, una necessità.
Rendiamoci
conto innanzitutto che amore e odio sono in realtà sinonimi di attrazione e
repulsione. Quando le cose si attraggono è amore, quando si repellono è odio.
Quando si avvicinano è amore, quando si allontanano è odio. Quando si uniscono
è amore, quando si dividono è odio.
Ma le
due polarità sono indispensabili a mandare avanti un ciclo, che prevede la
costruzione e la distruzione, la vita e la morte, l’essere e il non-essere.
Però,
stiamo attenti ai paradossi. La creazione, cioè la moltiplicazione, è basata su
una divisione, su una separazione; se no, le cose resterebbero tutte attaccate
nell’uno (lo Sfero di Empedocle). Immobili, non attive. E quindi, se guardiamo
bene, la creazione vede un prevalere dell’odio-repulsione. Allora, la creazione
è qualcosa di positivo o negativo?
Noi
risponderemmo che la creazione è qualcosa di positivo, se no non ci sarebbe
niente. Ma, guarda caso, è basata sulla divisione.
Questo
ci dice che bene e male, amore e odio, attrazione e repulsione, sono giudizi di
valore che hanno un valore relativo e temporaneo, oscillatorio, antropomorfo, che
l’uno può trasformarsi nell’altro e che sono due aspetti della stessa realtà,
entrambi “positivi”, se amiamo la vita.
Ma la
verità è che trascendono le nostre categorie. I movimenti oscillatori, che
formano un ciclo, non sono né buoni né cattivi. Potreste dire che
l’inspirazione è più buona dell’espirazione? Non avrebbe senso, perché entrambe
sono necessarie per formare un ciclo, un movimento, un sistema. Nessuno direbbe
che l’elettrone, con carica negativa, è più cattivo del protone, con carica
positiva. Non sono né buoni né cattivi. Sono quel che sono. Servono entrambi a
formare un atomo.
In
realtà, ci dice l’IA di Gemini, “l'elettrone e il protone sono particelle
fondamentali che costituiscono l’atomo. L'elettrone ha una carica negativa e
orbita attorno al nucleo, che contiene i protoni, che hanno carica positiva.
L'interazione tra elettroni e protoni crea un campo elettromagnetico che tiene
insieme l'atomo. Insieme ai neutroni, che sono particelle neutre presenti nel
nucleo, gli elettroni e i protoni formano gli elementi chimici e determinano le
loro proprietà chimiche e fisiche. Inoltre, l'interazione tra elettroni e
protoni è responsabile per i fenomeni elettrici e magnetici che osserviamo
nella vita quotidiana.”
Nessuno
direbbe che il caldo è più buono del freddo. Dipende dalle circostanze.
Così la
vita e la morte: non potete dire che l’una sia positiva e l’altra negativa. Per
la natura (o agli occhi di un Dio ipotetico, assoluto) sono entrambe necessarie
e quindi “buone”. E lo stesso per tutte le antinomie.
I
nostri giudizi morali non trovano riscontro nella natura e perciò rimarranno per
sempre convenzionali, puramente antropomorfi. Ma le loro oscillazioni sono
uguali a tutte le altre: si contraddicono pur sostenendosi a vicenda. Non
servono dunque a stabilire che cosa sia vero e che cosa sia falso. Invece, per
le antinomie che hanno riscontro nella realtà (come piacere/dolore, luce/buio,
vita/morte, amore/odio, caldo/freddo, ecc. ) e che corrispondono a percezioni
reali (per quanto soggettive) si può dire che abbiano un maggior grado di
realtà o consistenza.
Alle
antinomie o dicotomie non si possono applicare giudizi di bene e di male…
nemmeno all’antinomia bene/male! Quanto alle antinomie vero/falso,
reale/irreale o soggettivo/negativo, è chiaro che siamo in un campo ampiamente
antropomorfo ma con un maggior grado di efficacia.
Che
cosa significa? Che niente può essere definito reale, in quanto non esiste
niente di completamente oggettivo. Ogni cosa è più o meno assoluta/relativa, reale/falsa,
soggettiva/oggettiva, poiché non può esistere un modello di riferimento
assoluto. Quindi il grado di realtà si riferisce al suo contrario. Un sogno o
un’immagine hanno un grado di realtà inferiore alla cosiddetta realtà da
svegli. Ma anche la realtà da svegli ha un grado di realtà inferiore a un’ipotetica
realtà assoluta. Come faccio a dirlo se non conosco nessuna realtà assoluta?
Perché ho un’idea di realtà relativa. E da dove viene questa idea se non dal
suo contrario? O, per meglio dire, la dicotomia relativo/assoluto rivela che ci
sono due aspetti di un’unica realtà che ha vari livelli, oscillante.
In
altri termini, come non posso dire che una delle due polarità sia positiva o
negativa in maniera assoluta, non posso nemmeno dire che una delle due polarità
sia vera o falsa, ma solo più o meno vera o falsa. Allora, come devo regolarmi?
La
percezione diretta di uno dei due poli è fondamentale per poter dire che è
reale e che esiste il suo contrario, e anche per potere entro certi limiti
modificare entrambi. Prendiamo il caso
della respirazione, costituita da due movimenti complementari e contrapposti.
Se io percepisco uno dei due moti oscillatori, so che esiste l’altro, e so che
posso entro certi limiti variarli: allungo o accorcio uno dei due, o sospendo
il respiro. Entro certi limiti posso intervenire.
Lo
stesso per tante altre dicotomie: per il caldo e per il freddo, per la luce e
il buio, per il positivo e il negativo, per il piacere e il dolore, per il sì e
per il no, per il dentro e per il fuori, per l’alto e il basso, per l’aperto e
per il chiuso, per la destra e la sinistra, per il su e il giù, per l’ordine e
per il caos, per la ricchezza e per la povertà, per la magrezza o per la
grassezza, per la conoscenza e per l’ignoranza, per la salute e per la
malattia, per il veloce e per il lento, per la libertà e per la schiavitù, per
l’allegria e per la tristezza, per il giusto e lo sbagliato, per la giustizia e
per l’ingiustizia, per il falso e il vero, per il grande e per il piccolo, per
il gentile e per il rude, per il forte e il debole, per la crescita e per la
decrescita, per il vicino e per il lontano, per questo e per quello, per la
vittoria e per la sconfitta, per il prima o per il dopo, per la vita e per la
morte, il bene e il male, ecc. : se percepisco l’uno, so che esiste l’altro, e
so che posso variare entrambi entro certi limiti e a determinate condizioni con
appositi accorgimenti o interventi. Posso insomma fare qualcosa per cambiare la
proporzione fra i due poli – che variano comunque anche da soli.
Ma ci
sono altre dicotomie su cui non posso intervenire. La vita e la morte è un
esempio di dicotomia di confine, su cui posso o non posso intervenire. Posso
intervenire sulla vita/morte di qualcuno ed entro certi limiti anche sulla la
mia, ma non posso intervenire per accorciare o per allungare a lungo andare e
oltre certi limiti una delle due.
Poi ci
sono antinomie (soprattutto di emozioni, di sentimenti, di avvenimenti, di
tempi…) su cui posso fare ben poco o nulla. Se una cosa è già accaduta non
posso non farla accadere, se una cosa sta nel passato non posso spostarla nel
futuro, se amo o odio non posso farci nulla, se sono giovane o vecchio, che
posso farci?
Comunque
tutte queste antinomie sono basate su percezioni e quindi per noi hanno un alto
grado di realtà. Tuttavia, un sogno io lo percepisco, però non dico che è
reale. Una speranza io la percepisco, però non dico che è reale. Un progetto io
lo immagino, però non dico che è reale. Queste cose le riconosco irreali o ipotetiche,
ma non reali. Forse realizzabili, chissà mai…
Quel
che voglio dire è che il confronto con la realtà e con le percezioni è
fondamentale. E questo confronto è indispensabili per stabilire se l’antinomia
sia reale o astratta.
Certe
dicotomie sono già astratte perché non oggettive. Per esempio l’antinomia
bene/male è concreta perché è percepita, ma astratta perché è un giudizio di
valore troppo soggettivo o generico. Giudico che una cosa, una persona o un
evento siano buoni o cattivi già sapendo che bene e male siano concetti
astratti, relativi, soggettivi e talvolta convenzionali. Quindi non posso dire
che siano reali. Dipende dai punti di vista e dalla cultura.
Per
esempio, l’amore, considerato da tutti un bene, distrugge due individui per
farne uno; e l’odio, che separa, divide e allontana, ha una potenza creativa
opposta: da uno ne fa due. Chi è buono e chi è cattivo? Nessuno dei due in
maniera assoluta e statica: entrambi sono pronti a trasformarsi nei loro
opposti complementari. Perché la realtà è dinamica, sempre mutevole e
ambivalente.
Per
definire una polarità reale (e quindi ritenere reale anche il suo
contrario), dobbiamo sempre confrontarla con le nostre percezioni e perciò con
le nostre sensazioni (renderci conto della percezione, ovvero essere coscienti
che stiamo percependo). Se non c’è un riscontro nella nostra interiorità, allora
siamo solo nel campo delle astrazioni, delle supposizioni, delle ipotesi, delle
teorie, dei sogni o delle immaginazioni.
Il
punto di riferimento dell’uomo, ciò che dà un significato reale alle cose, è la
nostra interiorità, che è come una cassaforte segreta e incomunicabile. Nessun
simbolo, nessuna macchina, potrà mai provare ed esprimere ciò che noi sentiamo.
Il linguaggio, con i suoi simboli, non è in grado di cogliere la realtà della
nostra interiorità. Sì, posso dire “ti amo”, “ti odio”, “sono infelice”, “sono
felice”… ma la realtà di ciò che provo è incomunicabile con le parole che sono
semplici indicazioni schematiche. Anche se dico “questo è bello”, questo è
brutto”. “questo è bene”, “questo è male”… è come se mettessi una boa per
indicare che in profondità c’è qualcosa; ma solo io posso sapere cosa c’è sotto.
Il dito che indica la luna non è la luna.
Non
posso esprimere ciò che provo quando, per esempio, ascolto una musica o
contemplo un tramonto. Nessuna parola potrà mai farlo, neanche se scrivessi un
libro o parlassi per ore. Come comunicare a un cieco che cos’è un colore?
Perciò
i simboli, le parole e le informazioni esprimono qualcosa di reale solo quando
sono convalidati dalla nostra esperienza. Ma sono semplici boe di superficie
che si riferiscono e ci riferiscono che lì sotto c’è ben altro, la realtà.
Ma
anche la nostra interiorità si sviluppa per contrasti, divisioni, distinzioni e
ambivalenze, testimoniate dal linguaggio
delle antinomie. L’universo interiore è il riflesso o la controparte di quello
esteriore. Dunque, quando la nostra interiorità è convalidata dall’universo
esteriore, o viceversa, possiamo dire che è vera o reale.
Siamo
noi, in quanto soggetti, che convalidiamo ciò che è vero o ciò che non lo è.
Non c’è nessun’altra autorità.