venerdì 2 dicembre 2011
Il senso della morte
Alla fine dovremo rinunciare a tutto: agli amici, agli amori, ai conoscenti, alle proprietà, alle case, ai beni terreni, ai soldi, agli oggetti cari, ai vestiti, al corpo, ecc. Questo è il senso dell'ultimo atto della vita: la perdita di tutto. Con la morte dobbiamo lasciare tutto, anche quella proprietà più preziosa che chiamiamo "io". Tutto ciò che abbiamo accumulato, tutto ciò per cui abbiamo sofferto, tutto ciò che abbiamo amato, tutto ciò cui siamo stati attaccati fino all'ultimo, dovrà essere abbandonato. Questo ci dice alcune verità inoppugnabili: primo, che la vita è qualcosa di temporaneo; anche se vivremo cento o più anni sarà sempre qualcosa di breve; dunque non c'è tempo da perdere: quello che dobbiamo fare, dobbiamo farlo subito - mai rimandare le cose essenziali, mai accumulare più del necessario. Secondo, niente è veramente nostro: tutto ci viene per così dire prestato e poi ripreso, perfino il nostro io. Con la morte non saremo più noi stessi. Che cosa saremo? Non "saremo", appunto. E dove andremo? Da nessuna parte, appunto. Infatti l'unica "parte" era questa. E, allora, perché vivere? In realtà nessuno ci ha chiesto se volevamo venire al mondo: sono le forze dell'universo che ci hanno messo temporaneamente qui. E che alla fine ci riprendono. Non voglio sembrare pessimista. Questa è la realtà. Forse vorrete sentire parlare di reincarnazione o di paradisi, e io non voglio escludere niente. Ma si tratta di articoli di fede - nessuno può provare niente. La saggezza ci suggerisce di non fuggire nei mondi della fantasia, ma di accettare la realtà per quello che è. E a considerare che proprio questa brevità della vita ci rende ancora più prezioso ogni istante che viviamo. Se esiste qualcosa che ci sopravvive, il senso della morte ci dice che è l'essenza delle nostre esperienze, depurata da tutto il superfluo. E dunque l'imperativo non è accumulare, ma spogliarsi sempre di più.
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