venerdì 3 febbraio 2023

La vera identità

 

Esistono differenze fondamentali tra pregare e meditare. Si prega sempre un presunto dio, usando parole precise. Quando invece si medita, non ci si rivolge a nessun dio esteriore, ma a se sessi, a se stessi in quanto sé che fa parte del divino, in quanto sostanza ultima. E, per far questo non si usano parole, ma si cerca di retrocedere prima della parola, oltre la parola. Là dove si trova un oceano sconfinato di silenzio.

Per la nostra mente esistono l’essere e il non essere, il cosciente e l’incosciente, la vita e la morte, il bene e il male, il piacere e il dolore. Ma in meditazione si va là, dove non esiste il dualismo e la contrapposizione.

Con la mente comune, non possiamo conoscere che cosa ci sia in questo cosmo e come si possa esserne consapevoli. Ma possiamo e dobbiamo dedurlo proprio dalle nostre esperienze duali.

Presupponiamo che all’origine ci sia qualcosa che sfugge a ogni nostra definizione, La mente gira in tondo se pensa che all’origine ci sia un non essere o un super essere. È una soluzione troppo elementare, addirittura infantile, che non risolve il dualismo. Così non può cogliere la fonte di tutto, che sfugge invece a ogni nostra classificazione perché è trascendente.

Parliamo di trascendenza rispetto alla nostra mente limitata,

Allora si tratta di una semplice supposizione? In un certo senso è così. Se non vogliamo rifugiarci in mitologie e religioni senza veri fondamenti.

Trascendere la mente usando la mente sembra impossibile… se non fosse per certi elementi.

Innanzitutto la mente, consapevole di se stessa e della propria incapacità,  aspira naturalmente ad andare al di là di se stessa. E poi ha un funzionamento discontinuo che lascia spesso spazio ad un vuoto (di pensieri) che sembra indicare una via di trascendenza.

Quando si usa la penetrazione meditativa del “reale,” si vede bene che sotto c’è un altro stato o strato. Il pensiero si arresta e si apre un varco come in un fertile buco nero.

Infine, esiste uno stato di sonno profondo in cui la mente, con i suoi contenuti, sembra sparire. E temporaneamente fa sparire anche la coscienza e la sensazione dell’ “io sono”. Ma qualcosa mantiene il senso d’identità.

Di solito, per avvertire tale stato, ci vuole una situazione di quiete e silenzio, sia sensuale sia mentale. Ma può avvenire anche in situazioni di particolare concitazione, per esempio nell’orgasmo sessuale, in cui si verifica un’intensificazione della consapevolezza priva dell’ “io sono”.

Tutto procede secondo natura, una natura libera di autodeterminarsi in base alla legge di azione-reazione. L’ordine non è imposto da nessuno. Non c’è bisogno di un architetto, di un poliziotto o di un giudice. Tutto avviene da sé.

Il problema è che la natura si occupa della specie, non dell’individuo. Dell’individuo deve occuparsi l’individuo.

Poiché la coscienza è discontinua, ci deve essere qualcos’altro che mantiene il senso d’identità. E non può che essere qualcosa che supera la coscienza, che è al di là.

Si può perdere il senso dell’identità costituito dalla coscienza “io sono”, ossia dalla coscienza di essere una determinata persona delimitata dal tempo e dallo spazio, ma non il senso dell’identità non condizionata. Questo ci fa ben sperare per la morte.

Quando dici o pensi “io sono”, ti rendi conto che quell’io è solo una parte di te. Ammetti la scissione. Questa è la coscienza. Il conoscitore non è l’io conosciuto, è qualcos’altro.

Il conoscitore, il Sé, è al di là delle parole e dei pensieri, e ne è consapevole.

Questa consapevolezza di base è dunque confermata. Ma non può essere conosciuta con i normali mezzi. È il conoscitore stesso.

Ma che cos’è questa consapevolezza che non può essere indagata? È qualcosa che non è diviso, dissociato, che non conosce la normale dialettica dei contrari, che è al fuori dello spazio-tempo. In tal senso, non nasce e non muore.

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