domenica 25 settembre 2011

Religione ed economia

Non mi riferisco ai soldi che ci costano le religioni e alla loro pretesa di essere mantenute dallo Stato che odiano, ma al fatto che alla loro base si trovi un principio economico: l'equilibrio del dare e dell'avere. Tutte le religioni infatti partono dal presupposto che le azioni umane verranno giudicate da qualche Dio che stabilirà una specie di partita doppia, dove da una parte ci saranno le azioni positive e dall'altra parte le azioni negative. Poi si farà il bilancio, e chi non ha messo da parte abbastanza, chi non ha alimentato il proprio conto corrente, verrà irrimediabilmente punito. Il principio dell'economia - d'altronde ben espresso da Gesù quando dice nei Vangeli: "A chi ha sarà dato sempre di più e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha". Insomma è la mentalità economico-finanziaria che vediamo in azione in questi giorni. Non a caso, sempre Gesù utilizza spesso parabole a base di soldi (talenti), di banchieri e di mercanti. Per lui il regno di Dio può essere paragonato ad un mercante, a un banchiere o a un saggio amministratore che chiede ai suoi di render conto di come hanno investito il denaro loro affidato. E chi non lo avrà fatto rendere... sarà punito. Insomma la religione così concepita è soltanto un sottoprodotto della mente economica, pur illudendosi di essere qualcosa di spirituale. Se l'umanità è ridotta in uno stato miserevole, se la nostra vita è determinata dai soldi che abbiamo, se preti e papi sono degli affaristi, lo dobbiamo proprio a queste religioni della partita doppia. In Italia, a capo di una nota fondazione bancaria si trova direttamente una suora! E nessuno se ne meraviglia. Non c'era bisogno del protestantesimo per risvegliare lo spirito del capitalismo: c'era già tutto nei Vangeli.

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