Noi vorremmo che ci fosse un Dio anche perché vorremmo che ci fosse
qualcuno che distribuisse premi o punizioni. Abbiamo paura che i cattivi
restino impuniti o che i buoni venissero ricompensati.
Non c’è bisogno però di un Essere esterno per emettere questi giudizi.
Tutto avviene spontaneamente.
La logica della trascendenza non è duale.
Con la morte ognuno assume la sua vera identità e abbandona il
dualismo mentale. Perché abbandona la mente.
In tal senso la morte è una liberazione dalla vecchia identità, fatta
di bene e male, fatta di contrasti. Non ci si porta appresso il dualismo di
bene e male. Tranne nel caso che, per mancanza di consapevolezza, non si
ritorni indietro… ad un corpo.
Se però si è evoluti, si assume una visione e una identità unitaria.
Se mantenessimo una divisione buono-cattivo, non sarebbe trascendenza, ma solo
un’ennesima formula mentale. Come quella del Dio causa-prima.
Le nostre immaginazioni sono infantili, e proiettano il dualismo
mentale che affligge la nostra coscienza. Ma, se così fosse, i morti
cercherebbero di comunicare con noi. Quale muro glielo impedirebbe?
La verità è che tutto è spontaneo, senza causa e senza scopo.
I nostri sensi e la nostra mente ci danno un’immagine distorta della
realtà, sostanzialmente falsa. Esiste tuttavia un senso d’essere che è reale e
immutabile. E noi dovremmo dimorare il più possibile in esso. Questa sarebbe
vera meditazione.
Non il senso di essere questo o quello, ma il senso di essere e basta.
Questo senso di essere è amore e felicità. Dunque le cose che ci danno
felicità, senza contrasti, senza dualismi, sono più vicine alla trascendenza. L’amore
per qualcuno è una di queste, ma si tratta di un pallido riflesso dell’amore
per l’essere stesso. Quando siamo più felici, siamo più vicini alla vera
identità, quella che si è liberata dall’identificazione con il corpo e con il
dualismo della mente.
Le esperienze di gioia sono esperienze di unione. Le altre sono
esperienze di divisione e di infelicità.