lunedì 27 febbraio 2023

Esperienze d'unione

 

Noi vorremmo che ci fosse un Dio anche perché vorremmo che ci fosse qualcuno che distribuisse premi o punizioni. Abbiamo paura che i cattivi restino impuniti o che i buoni venissero ricompensati.

Non c’è bisogno però di un Essere esterno per emettere questi giudizi. Tutto avviene spontaneamente.

La logica della trascendenza non è duale.

Con la morte ognuno assume la sua vera identità e abbandona il dualismo mentale. Perché abbandona la mente.

In tal senso la morte è una liberazione dalla vecchia identità, fatta di bene e male, fatta di contrasti. Non ci si porta appresso il dualismo di bene e male. Tranne nel caso che, per mancanza di consapevolezza, non si ritorni indietro… ad un corpo.

Se però si è evoluti, si assume una visione e una identità unitaria. Se mantenessimo una divisione buono-cattivo, non sarebbe trascendenza, ma solo un’ennesima formula mentale. Come quella del Dio causa-prima.

Le nostre immaginazioni sono infantili, e proiettano il dualismo mentale che affligge la nostra coscienza. Ma, se così fosse, i morti cercherebbero di comunicare con noi. Quale muro glielo impedirebbe?

La verità è che tutto è spontaneo, senza causa e senza scopo.

I nostri sensi e la nostra mente ci danno un’immagine distorta della realtà, sostanzialmente falsa. Esiste tuttavia un senso d’essere che è reale e immutabile. E noi dovremmo dimorare il più possibile in esso. Questa sarebbe vera meditazione.

Non il senso di essere questo o quello, ma il senso di essere e basta.

Questo senso di essere è amore e felicità. Dunque le cose che ci danno felicità, senza contrasti, senza dualismi, sono più vicine alla trascendenza. L’amore per qualcuno è una di queste, ma si tratta di un pallido riflesso dell’amore per l’essere stesso. Quando siamo più felici, siamo più vicini alla vera identità, quella che si è liberata dall’identificazione con il corpo e con il dualismo della mente.

Le esperienze di gioia sono esperienze di unione. Le altre sono esperienze di divisione e di infelicità.

venerdì 24 febbraio 2023

Vedere chiaramente

 

Di solito noi abbiamo paura di perdere, con la morte, il corpo, la mente, la coscienza e l’identità. E tutto questo è evidente, perché un morto sembra perdere ogni contatto con noi e con la sua vecchia identità.

Per reagire a questa paura, ci inventiamo paradisi/inferni e un Dio e compia l’operazione di salvare la nostra anima. Insomma la vita dovrebbe proseguire sotto qualche forma. Perché non sopportiamo l’idea di scomparire definitivamente e di non rivedere più nessuno. L’idea ci terrorizza.

Ma dobbiamo riflettere sul fatto che l’attuale identità è quanto mai incerta e labile. Sappiamo di essere fatti in qualche modo, però non ci conosciamo bene.  Come se avessimo una visione sfocata, quasi vivessimo in una specie di sogno, di recita o di incubo. Come diceva Pirandello nei sei personaggi in cerca di un autore-soggetto.

Già, qual è il nostro vero soggetto? È definito. Sa da dove viene? Ha una sostanza, un’anima?

Il fatto è che l’anima è il cercatore. E in un mondo dove tutto è duale, il soggetto, per essere conosciuto, deve diventare oggetto. Quindi non può essere conosciuto.

È per questo motivo che ci sentiamo sempre orfani di realtà: è come se ci mancasse qualcosa.

Possiamo esserlo, non conoscerlo. È questa l’alienazione di base. Dobbiamo sempre essere altro: non possiamo conoscere noi stessi.

La situazione è disperante. Dovremmo fare a meno della mente conoscitiva. La nostra attuale identità è scissa.

Dunque, dobbiamo ammettere che la nostra vera identità ci sarà chiara solo con la fine della mente. Cioè, con la morte.

La morte, lungi dal cancellare la nostra identità, ce la rivelerà.

Questo è il potere liberatorio della morte.

Il problema che tutto questo è il frutto di un ragionamento, ossia di quella mente che non può cogliere la realtà ultima. Sappiamo ciò che non siamo, ma non ciò che siamo. Se non in maniera confusa. È un po’ la situazione di chi vorrebbe vedere chiaramente qualcosa, ma non può togliersi degli occhiali che ne distorcono la visione. Può solo cercare di intuire, indovinare, perché qualcosa comunque vede. Come scrive san Paolo, “ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa, ma allora vedremo a faccia a faccia”.

Non si tratta però di vedere qualcuno, ma di reintegrarsi nella propria vera natura. E questa natura è comunque in noi, anche adesso.

lunedì 20 febbraio 2023

Il sogno della coscienza

 

Ma che cosa c’era prima della coscienza e della nascita dell’io sono? Questa è la domanda giusta. Perché noi pensiamo che qualcuno ci crei dal nulla. Crediamo che ci sia sempre uno scopo e una causa. Ma questo non è possibile. Dal nulla non nasce nulla.

In realtà c’è uno stato precedente, lo stato originale, dal quale deriviamo – uno stato che non può essere cosciente o supercosciente.

Non c’è mai nessuno che crei. Se no, sarebbe responsabile di questo decadimento.

Nasciamo da un altro organismo vivente. Non c’è nessuno che venga creato dal nulla.

Ci viene consegnato un corpo e noi ci identifichiamo con esso.

Più tardi, nel bambino, nasce anche la coscienza e l’io sono.

Dunque non dobbiamo raggiungere nulla. Ciò che siamo, lo siamo già. Solo che non possiamo conoscerlo. E qui il nostro dramma.

Di dramma è giusto parlare, perché la nostra condizione attuale è simile a una recita, a un sogno, a un’illusione. Come in un sogno siamo sicuri che quella è la nostra realtà, ma poi abbiamo dei dubbi e sappiamo che tutto finirà. Allora ci inventiamo dei e paradisi (e gli inferni?) dove saremo finalmente felici.

Ma nessuno sa dirci perché siamo infelici, ora.

Lo saremmo comunque, perché siamo coscienti che tutto è destinato a scomparire, le gioie come i dolori, gli amori come gi odi.

Quando moriremo scomparirà anche la nostra identità o, per meglio dire, perderemo questa identità fasulla. E riavremo la vera identità, che non sarà più quella di un io-corpo separato.

Se non c’è coscienza non c’è universo. Se non c’è coscienza non c’è Dio.

La coscienza ci fa apparire tutto. Ma alla fine scomparirà anche lei.

Su questo dobbiamo meditare. E recuperare ciò che siamo prima.

sabato 18 febbraio 2023

L'identità

 

La coscienza che hai di te stesso varia nel tempo, perché cambia il tuo corpo e cambia la tua mente. Ma c’è qualcosa che rimane sempre lo stesso: la coscienza dell’”io sono”.

Si badi bene: cambia la coscienza dell’essere questo o quello, perché è legata allo spazio-tempo e ai mutamenti degli avvenimenti che ti plasmano. Ma non cambia la sensazione di essere. Che tu sia giovane o vecchio, sano o malato, felice o infelice, la tua coscienza di essere ( di essere essere) è sempre la stessa, perché è svincolata da qualsiasi esperienza o conoscenza.

Questa è la base della tua coscienza, colui o ciò che sa di essere cosciente.

Ma che cosa c’è prima di questa conoscenza? Prima che la coscienza e il senso di essere si formassero, prima che potessimo conoscere, che cosa c’era?

Se riduciamo tutto alla nostra coscienza-conoscenza, rimaniamo nell’ambito dei concetti e dunque della nostra mente duale. Ma se vogliamo conoscere che cosa c’era prima della coscienza-conoscenza, dobbiamo accedere a ciò che non è conoscibile.

Come è possibile?

In realtà dobbiamo ammettere che ciò che non è conoscibile, lo stato ultimo o primo, c’è sempre, perché al di fuori dello spazio-tempo. Ma noi vorremmo conoscere con una mente che è nello spazio-tempo e nel limitato.

Non ci rimane che dimorare in questo stato, senza fare sforzi per pensarlo.

In effetti vi ritorniamo quando moriamo, quando cessa il corpo e la mente. Non dobbiamo pensare o fare nulla, perché l’atto stesso di conoscerlo, lo nasconde.

Chi ce lo dice?

Questo stato c’è, perché coincide col nulla del conoscere o essere cosciente. Non ci sarebbe se ci fosse qualcosa, un Dio, una Supercoscienza, il paradiso o chissà che cosa. C’è perché c’è il nulla che tanto temiamo. È il nulla, il vuoto, la non-coscienza, la non-conoscenza. È quella cosa lì. Potremmo chiamarlo l’Assoluto, ma è un’etichetta come un’altra.

È ciò da cui viene il tutto.

Senza desideri, senza bisogni, senza coscienza. Un niente assoluto. Nessuna identità. Ma, proprio per questo, il tutto, precedente alla coscienza che hai di te. Non conosce neppure se stesso.

Ad un certo punto, da una vibrazione nasce spontaneamente il dualismo soggetto-oggetto, la coscienza, l’io sono e lo spazio-tempo.

Ci piacerebbe che l’Assoluto fosse una perfetta e onnipotente coscienza. Ma non può esserlo, perché, per esserci coscienza, ci dev’essere dualismo di soggetto-oggetto. Dunque, l’Assoluto non conosce se stesso – lo è.

Il risultato che ciò che conosci, non lo sei; mentre ciò che conosci, lo sei. Un bel paradosso.

Ciò che conosci, compresi l’io e Dio, è un prodotto della mente cosciente. Ma non è la realtà ultima.

Se abbiamo paura di perdere la nostra identità, dobbiamo riflettere che l’Assoluto è vera identità, mentre ciò che per noi è la nostra identità è divisione.

martedì 14 febbraio 2023

Lo stato ultimo

 

Se credi di trovare la felicità in questo mondo dove il piacere deve alternarsi al dolore e tutto deve continuamente cambiare, sei sulla strada sbagliata. Al massimo puoi tentare di assaporare momenti o periodi di felicità. Ma devi essere preparato anche a soffrire.

Se cerchi una felicità duratura, devi in realtà lasciarti alle spalle questo mondo dell’instabilità e del divenire. È soprattutto la mente che costruisce un mondo di contrari, di spazio-tempo e di dualismo. E quindi devi metterla il più possibile da parte.

Conosci senza i limiti della mente. Come?

Ricorrendo non alla coscienza duale, ma alla consapevolezza unitaria, senza ansie e senza paure, senza soggetti e senza oggetti.

Queste sono parole, lo so. Ma nella tua esperienza ci sono già brevi sprazzi di tale stato.

Perché è il tuo stato ultimo.

lunedì 13 febbraio 2023

L'egoismo dei morti

 

Quello che mi colpisce dei morti è che, anche se ci hanno amato moltissimo, appaiono del tutto assenti e non fanno nessun tentativo per mettersi in comunicazione con noi. Anche nei racconti di chi è “ritornato” dopo essere “morto” per qualche minuto si evidenzia che nessuno vorrebbe ritornare in questa valle di sofferenza. Si sono trovati troppo bene per pensare di tornare indietro. Ma vi sono costretti.

In parole povere, c’è una specie di “egoismo” dei morti. Possono aver abbandonato figli carissimi, genitori, coniugi tanto amati e amici, ma è come se se ne dimenticassero immediatamente. Non solo, ma non fanno nemmeno nessuno sforzo per comunicare con noi o per aiutarci.

Questo può voler dire tre cose: o che sono stati annullati completamente o che vivono in uno stato di oblio, quasi drogati, o che è loro impedito – e quindi non possono essere felici. Come fa una madre ad abbandonare i figli o l’amante l’amato?

Resta il fatto che i sopravvissuti soffrono e si sentono abbandonati. E anche l’aldilà si presenta crudele – una separazione brutale cui non c’è rimedio… se non aspettare a nostra volta la morte.

Rispetto a ciò che pensiamo, può esserci una grande sorpresa. Dato che la nostra mente non riesce a pensare la realtà ultima.

Ma la sorpresa, la meraviglia, sono l’inizio della nuova consapevolezza.


Conoscere se stessi

 

Se vi domandassi chi credete di essere, la vostra identità, incomincereste a parlarmi della vostra nascita, dei vostri genitori, della vostra famiglia e poi passereste agli studi fatti, al vostro corpo, alla vostra mente, alla vostra personalità, ai vostri valori, alle vostre credenze e così via. Quella persona siete voi e siete unici nel mondo.

Ma alcuni filosofi, religiosi o saggi direbbero che tutta questa massa di informazioni non basta a definirvi. Già Freud affermò che esiste anche un livello inconscio di cui non vi rendete conto e che vi porta ad agire, a reagire e a sognare in una certa maniera. Dunque i confini della vostra persona sono molto più vasti e indefiniti di quel che credete. E, nel migliore dei casi, una parte di voi stessi vi sfugge.

Ma non è finita. Qualcuno parla anche di un’anima o di un sé. Che non solo sfuggirebbero al nostro controllo ma costituirebbero un ulteriore livello di noi stessi.

Dobbiamo quindi ammettere che la nostra conoscenza di noi stessi è per lo meno limitata. E che siamo costituiti da una persona in parte sconosciuta.

Rimanendo comunque a quel che conosciamo, vediamo bene che è destinato a durare poco e che, dopo la morte, non si sa che fine farà.

C’è chi parla di un paradiso/inferno, chi del nirvana, chi di una vita eterna e chi del nulla. Ma anche questi sono  concetti, credenze, ipotesi, che non sono dimostrate.

Il fatto è che certe parole – come nulla o tutto – per noi hanno poco significato, perché non ne abbiamo esperienza. Che cos’è il nulla? Immaginiamo qualcosa, che comunque non è un vero nulla, ma una nostra idea. E lo stesso per il tutto. Noi abbiamo esperienza solo di poche cose, non del tutto.

Dunque, usiamo concetti che non sono verificabili. Così è per altri concetti come anima, Dio, aldilà, ego, ecc. E quindi viviamo in un mondo immaginario di idee, che non sono comunque le cose che indicano e spesso sono del tutto virtuali.

Se vogliamo un approccio alla realtà, dobbiamo essere consapevoli che viviamo in un modo di parole, cui spesso non corrisponde niente. Quando i saggi ci invitano a “conoscere noi stessi”, ci invitano in realtà a uscire dal mondo della mente e a trovare il nostro più profondo essere, che è al di là perfino della coscienza o della non coscienza.

Non dobbiamo però pensare ad esperienze sovrannaturali o mistiche, ma al semplice stato di chiarezza e lucidità, che talvolta acquisiamo nella vita di tutti i giorni, come nei primi attimi di risveglio da un sonno ristoratore o in certe mattine limpide in cui siamo liberi da ansie e paure.

Della realtà non possiamo dire nulla, se non vogliamo trasformarla in un ennesimo concetto. Possiamo solo dire che cosa non è. Scartare tutto il contenuto mentale, legato alla cultura, al passato e alla memoria. E guardare con freschezza.

sabato 11 febbraio 2023

I miracoli

 

Così sono fatti gli uomini. Gridano al miracolo quando estraggono dalle macerie di un terremoto un sopravvissuto, trascurando le migliaia di non-miracolati finiti morti.

Da un Dio che si curasse del modo e degli individui, i miracoli li vorremmo prima e non dopo. Non fare accadere le tragedie; salvare prima, non dopo.

Se proprio deve avvenire un terremoto, vorremmo che lo facesse accadere in Russia, non in paesi già flagellati da guerre e povertà.

Ma un Dio del genere è una nostra illusione che, nonostante le disillusioni continue, sosteniamo ancora. Quando la Terra finirà distrutta, l’ultimo dei sopravissuti griderà al miracolo… prima di soccombere anche lui.

Masse di ingenui e di illusi, che non hanno il coraggio di guardare in faccia la realtà.

Siamo soli e dobbiamo salvarci da soli. Innanzitutto riconoscendo ciò che è falso, finendo di illuderci che ci sia un Papà buono in cielo. E poi superando il dualismo della nostra mente.

Il mondo che ha alla sua base la coscienza non può che essere duale, in un contrasto e in una lotta continua. Bene contro male, soggetto contro oggetto, dolore contro piacere, luce contro oscurità, coscienza contro incoscienza, vita contro morte, alto contro basso, guerra contro pace, amore contro odio, guadagno contro perdita, crescita contro declino, aldiqua contro aldilà e così via. E mai che l’uno possa avere la meglio contro l’altro… se non temporaneamente.

Ma la vera realtà non è affatto duale e dialettica. È unitaria.

Se osservate bene, scoprirete che gli opposti contrastanti sono complementari. Si combattono, ma si sostengono a vicenda. L’uno non potrebbe esistere senza l’altro, l’uno alimenta l’altro.

Il contrasto è apparente, una commedia, un gioco. Siamo noi che adottiamo di volta in volta punti di vista diversi, in base ai nostri interessi, ma si tratta di due facce della stessa medaglia. Così, per esempio, l’amore nasconde l’odio e il bene il male. E lo sappiamo.

Addestriamoci quindi a vedere l’unità nell’apparente contrasto. Il maschile per esempio non potrebbe esistere senza il femminile. E dunque all’origine c’è qualcosa che è entrambe le cose o aldilà di entrambe.

Proviamo a usare un pensiero e un linguaggio trascendente, unitario, fuori dai contrasti che compongono il mondo abituale. Un linguaggio unitario e olistico, vedendo nei contrasti un gioco delle parti.

La Realtà di fondo non è contrastante, non distingue per esempio fra soggetto e oggetto. Il conoscente è il conosciuto. E niente nasce né muore.

La Realtà è puro essere che si diverte a mascherarsi. Un Uno che si diverte a moltiplicarsi, a frammentarsi, ad apparire ciò che non è. Questi giochi illusionistici sono i veri miracoli.

  

martedì 7 febbraio 2023

La violenza sulla Terra

 

Tutti si appellano a Dio. Il Papa va in Africa (anche per contrastare le Chiese evangeliche) e prega Dio. Gli ucraini pregano Dio, per non essere distrutti. I terremotati pregano Dio (per ringraziarlo di non averli uccisi). Ma con scarso successo.

Il grande assente è sempre Dio, inteso come un Reggitore universale e quindi come una sorta di padrone. Questo proprio non risponde.

Se ci fosse un Dio che avesse creato il mondo e lo controllasse, qualcuno potrebbe chiedergli conto di questa sua assenza. I cristiani, per esempio, basano la loro fede sull’idea di un Dio che interviene negli eventi del mondo. Ma dove sono questi interventi?

Tuttavia, fa molto comodo questa idea, perché dà l’illusione che qualcuno si curi dell’individuo e dà a molti mascalzoni il pretesto di agire a nome di Dio.

Ma Dio non risponde perché non c’è, perché è una creazione della mente umana, che ha sempre bisogno di una causa prima, di un giudice, di una pezza d’appoggio.

Questo se si intende Dio come un Dominatore. Ma se si intende Dio come Realtà ultima, allora c’è e lo siamo tutti.

Dunque, siamo tutti responsabili. Ci siamo creati da soli, in qualche modo, con molti difetti, soprattutto con una coscienza duale.

Stando così le cose, ci dobbiamo salvare da soli. Ciò che avviene nel mondo non è il frutto di qualche imperscrutabile Volontà divina, ma della nostra coscienza duale, che deve procedere per contrasti.

Perfino la violenza dei terremoti non è causata da qualche Dio, ma dalla nostra coscienza. Le perturbazioni della natura sono innanzitutto le perturbazioni della coscienza.

Se coltivassimo la calma, la quiete e il silenzio, tutto cambierebbe.

Ricordiamoci che sulla terra ci sono esseri viventi che vivono 200 o 400 anni o che sono potenzialmente immortali, come certe meduse.

La comparsa della coscienza

 

Per chi conosce la verità, la morte dovrebbe essere un lieto evento, una gioia, un sollievo, una liberazione, la fine della schiavitù di un essere legato a un corpo e a una mente. Ma per noi è la massima paura, ciò da cui derivano tutte le altre paure. L’abbandono di tutto.

Anche l’io dobbiamo abbandonare e la coscienza. Ma non forse l’identità ultima, che non dovrebbe essere legata al dualismo, perché mai nata e mai morta, perché unitaria.

L’identità ultima ha poco a che fare con la coscienza abituale, ma con la consapevolezza, che non è uno stato duale.

Ci siamo identificati con un corpo e con una mente, che dobbiamo perdere. Ma, una volta dis-identificati, siamo liberi.

La logica è che, se vogliamo l’infinito, dobbiamo passare per il finito; e, se vogliamo l’immortalità, dobbiamo passare per la morte.

Ma perché questa contorsione? Non eravamo già infiniti e liberi? Mai nati e mai morti?

La verità è che abbiamo a che fare con la stessa realtà… conosciuta dualisticamente da punti di vista differenti. Tutto dipende dal nostro modo di osservare: non potremmo pensare l’infinito e l’immortale se non passando dal finito e l’immortale.

Dunque il finito e il mortale servono a conoscere la totalità della Realtà.

Se partiamo dall’infinito e dall’immortale, dobbiamo conoscere per forza il finito e il mortale. Se partiamo dal finito e dal mortale, dobbiamo per forza aspirare all’infinito e all’immortale.

Questo lo diciamo partendo dal finito e dal mortale.

Se partiamo dall’infinito e dall’immortale, abbiamo già tutto. Ma non la coscienza.

La realtà ultima è al di là di tutte le aporie. E quindi non è neppure cosciente. Se dunque si apre la stagione della coscienza, cioè del dualismo soggetto/oggetto ecc. e dello spazio-tempo, compaiono il finito e il mortale. Ma tutto questo dovrà finire, un bel o brutto giorno.

Non domandate chi vuole tutto questo. Non c’è nessuno che lo voglia. Si vuole.

venerdì 3 febbraio 2023

La vera identità

 

Esistono differenze fondamentali tra pregare e meditare. Si prega sempre un presunto dio, usando parole precise. Quando invece si medita, non ci si rivolge a nessun dio esteriore, ma a se sessi, a se stessi in quanto sé che fa parte del divino, in quanto sostanza ultima. E, per far questo non si usano parole, ma si cerca di retrocedere prima della parola, oltre la parola. Là dove si trova un oceano sconfinato di silenzio.

Per la nostra mente esistono l’essere e il non essere, il cosciente e l’incosciente, la vita e la morte, il bene e il male, il piacere e il dolore. Ma in meditazione si va là, dove non esiste il dualismo e la contrapposizione.

Con la mente comune, non possiamo conoscere che cosa ci sia in questo cosmo e come si possa esserne consapevoli. Ma possiamo e dobbiamo dedurlo proprio dalle nostre esperienze duali.

Presupponiamo che all’origine ci sia qualcosa che sfugge a ogni nostra definizione, La mente gira in tondo se pensa che all’origine ci sia un non essere o un super essere. È una soluzione troppo elementare, addirittura infantile, che non risolve il dualismo. Così non può cogliere la fonte di tutto, che sfugge invece a ogni nostra classificazione perché è trascendente.

Parliamo di trascendenza rispetto alla nostra mente limitata,

Allora si tratta di una semplice supposizione? In un certo senso è così. Se non vogliamo rifugiarci in mitologie e religioni senza veri fondamenti.

Trascendere la mente usando la mente sembra impossibile… se non fosse per certi elementi.

Innanzitutto la mente, consapevole di se stessa e della propria incapacità,  aspira naturalmente ad andare al di là di se stessa. E poi ha un funzionamento discontinuo che lascia spesso spazio ad un vuoto (di pensieri) che sembra indicare una via di trascendenza.

Quando si usa la penetrazione meditativa del “reale,” si vede bene che sotto c’è un altro stato o strato. Il pensiero si arresta e si apre un varco come in un fertile buco nero.

Infine, esiste uno stato di sonno profondo in cui la mente, con i suoi contenuti, sembra sparire. E temporaneamente fa sparire anche la coscienza e la sensazione dell’ “io sono”. Ma qualcosa mantiene il senso d’identità.

Di solito, per avvertire tale stato, ci vuole una situazione di quiete e silenzio, sia sensuale sia mentale. Ma può avvenire anche in situazioni di particolare concitazione, per esempio nell’orgasmo sessuale, in cui si verifica un’intensificazione della consapevolezza priva dell’ “io sono”.

Tutto procede secondo natura, una natura libera di autodeterminarsi in base alla legge di azione-reazione. L’ordine non è imposto da nessuno. Non c’è bisogno di un architetto, di un poliziotto o di un giudice. Tutto avviene da sé.

Il problema è che la natura si occupa della specie, non dell’individuo. Dell’individuo deve occuparsi l’individuo.

Poiché la coscienza è discontinua, ci deve essere qualcos’altro che mantiene il senso d’identità. E non può che essere qualcosa che supera la coscienza, che è al di là.

Si può perdere il senso dell’identità costituito dalla coscienza “io sono”, ossia dalla coscienza di essere una determinata persona delimitata dal tempo e dallo spazio, ma non il senso dell’identità non condizionata. Questo ci fa ben sperare per la morte.

Quando dici o pensi “io sono”, ti rendi conto che quell’io è solo una parte di te. Ammetti la scissione. Questa è la coscienza. Il conoscitore non è l’io conosciuto, è qualcos’altro.

Il conoscitore, il Sé, è al di là delle parole e dei pensieri, e ne è consapevole.

Questa consapevolezza di base è dunque confermata. Ma non può essere conosciuta con i normali mezzi. È il conoscitore stesso.

Ma che cos’è questa consapevolezza che non può essere indagata? È qualcosa che non è diviso, dissociato, che non conosce la normale dialettica dei contrari, che è al fuori dello spazio-tempo. In tal senso, non nasce e non muore.