Noi non ce ne accorgiamo ma perfino contrarre un muscolo è una fatica. Chiudere o aprire una mano, fare un passo, camminare, stare in piedi con addosso la forza di gravità, battere le palpebre, pensare o respirare... tutto ciò comporta uno sforzo. Anche le cose più piacevoli, come mangiare o fare l'amore, sono sforzi. In breve, venire al mondo è uno sforzo, vivere è uno sforzo. E sforzo è sempre sinonimo di sofferenza.
La meditazione non deve invece essere uno sforzo, un fare; ma un mettere fine ad ogni sforzo, uno smettere di fare. Tuttavia, abituati come siamo a fare qualcosa, a conquistare una meta o a raggiungere un obiettivo, crediamo che anche meditare comporti una qualche fatica, un tendersi o un protendersi verso qualcosa. Niente di più sbagliato.
L' "azione" coinvolta nella meditazione è più un lasciar andare, un mollare la presa, un allentare la tensione... di vivere. Ciò che cerchiamo non è una cosa da conquistare, una meta da raggiungere, ma ciò che abbiamo fin dall'origine e che soltanto i nostri sforzi ci hanno allontanato. Se la vita è un tendersi, la meditazione è un dis-tendersi.