lunedì 13 settembre 2010

Il senso della morte

È evidente che lo scopo della vita dovrebbe essere quello di fare esperienza e di sviluppare consapevolezza (e con essa una maggiore "virtù"), e questo intento viene comunque raggiunto anche inconsapevolmente. Ma diventarne consapevoli - e quindi sviluppare un atteggiamento meditativo - potenzia l'intero processo. Esistono tuttavia dei limiti dati dalle predisposizioni innate: non si può sviluppare la consapevolezza se abbiamo un carattere fatto in un certo modo, carattere che deriva dal passato, da tutta l'eredità passata, nostra e degli altri che ci hanno influenzato. Il percorso è dunque lento, frastagliato e spesso lunghissimo; e non può bastare una vita per esaurirlo.Chi ne è consapevole, però, è già in una posizione di vantaggio, e può approfittarne. Ma anche lui non può fare passi da gigante e deve scontare le predisposizioni innate, spesso inconsce.


La morte serve a fare un bilancio periodico e vedere se siamo andati avanti o indietro. Chi lo fa? Noi stessi, attraverso tutto ciò che abbiamo accumulato fino a quel momento. In base alle esperienze e alla consapevolezza accumulate ci collochiamo in un certo piano e in un certo livello. La vita, infatti, è un processo continuo che non s'interrompe con la morte. La morte è solo l'interruzioni di una fase e l'inizio di un'altra. Quale?

Proprio perché la nostra vita attuale è il risultato di un lungo processo di apprendimento e di evoluzione, non è pensabile che basti una sola esistenza ad esaurirne le potenzialità. Veniamo da lontano e andiamo lontano; e non ci troviamo ad un livello molto avanzato: siamo scimmie da poco evolute. Dobbiamo quindi percorrere ancora molta strada. Questo depone a favore di una prosecuzione della vita dopo la morte. Ma quale vita?

Tutto dipende dal livello di consapevolezza e di realizzazione raggiunto; si può dunque ipotizzare un rientro in questo mondo, oppure in altri mondi o in altri universi. Qualcosa di noi si conserverà, altre cose verranno superate e cambiate. Ciò che è pericoloso è la non-vita, la repressione, la rinuncia, tutti atteggiamenti nevrotici che ci indicano che, come nel gioco dell'oca, dovremo tornare indietro di qualche casella e rifare l'esperienza fino ad averla superata; solo allora potremo passare alla casella successiva.

La meditazione non esime in nessun modo dal vivere; anzi, ogni esperienza deve essere vissuta fino in fondo per poterla comprendere, assimilare e magari trascendere.

Nelle religioni di massa esiste un barlume di questi principi, per esempio nei concetti di paradiso, inferno e purgatorio, e in quello di karma. Ma non c'è nessun Dio che ci giudichi, e paradiso e inferno sono sempre compresenti ad ogni livello, e non esauriscono affatto il percorso. Nessuno stato è eterno e immutabile; questo sarebbe davvero la morte.

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