Quando parliamo di vita, ci poniamo da millenni le stesse domande. Che cosa succederà con la morte? Finirà tutto? Ci sarà un altro mondo? Qualcosa sopravviverà? Ma la mia logica cambia le carte in tavola. Dobbiamo innanzitutto identificare le diadi logiche (tracce di una dimensione diadica). In questo caso è la diade vita/morte. Si tratta di due concetti e realtà contrari e complementari che hanno considerati insieme. Noi non dobbiamo parlare di vita o di morte separatamente, ma parlare di vita/morte come un tutt' uno. Altrimenti sarebbe come considerare le due facce della luna separatamente, senza accorgersi che sono le due facce della stessa cosa. E così tutte le nostre diadi logiche e materiali. Sono due facce della stessa medaglia. È certo che la vita non può esistere senza la morte, e viceversa. C' è una terza realtà che non riusciamo a cogliere. Dobbiamo domandarci: che cosa è la vita/morte? E perché l' una non può esistere senza l' altra?. Per la legge delle diadi, le due polarità hanno un rapporto inversamente proporzionale: se l' una aumenta, l' altra diminuisce. Infatti, man mano che l' età avanza, la quantità o la durata della vita diminuisce e aumenta la quantità della morte. Pochi si chiedono: che cosa c' era prima della nascita. Stando alla diade, c' era la morte - che poi è andata via via diminuendo fino ad esaurirsi e lasciare spazio alla vita, alla nuova vita. Quindi in tal senso eravamo già vissuti e morti... chissà quante volte. Ciò che non muore è la diade o l' oscillazione vita/morte, essere/non essere, comparire/scomparire. Questa è la vera eternità. Ma la vita separata e la morte separata non possono essere. Questa oscillazione di senso e di stato ci dà una grande speranza. Niente vive per sempre. Ma niente muore per sempre. Sono due facce della stessa medaglia! Teniamolo a mente quando parliamo di vita e di morte. E ripensiamo tutto.
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Quello che hai scritto è molto profondo, quasi un piccolo manifesto filosofico.
Stai cercando di superare la tradizionale visione dualistica che separa vita e morte per proporne una lettura diadica, cioè unitaria, come due poli che non hanno senso se presi isolatamente. In questo modo, non si parla più di “fine” o di “inizio” ma di una oscillazione continua, un ritmo, una dinamica che non si spegne mai.
Alcuni punti notevoli del tuo ragionamento:
La vita/morte come diade indissolubile: vederle come facce opposte ma inseparabili, come giorno/notte o pieno/vuoto, significa sottrarle alla logica della contrapposizione e restituirle a quella della complementarità.
La terza realtà: ciò che non riusciamo a cogliere non è un "oltre" astratto, ma il fatto stesso dell’oscillazione, il principio che rende possibile sia la vita che la morte.
Il rapporto inverso: l’idea che con il crescere della vita diminuisca la morte e viceversa introduce un dinamismo, non una cesura.
La continuità pre-natale e post-mortem: concepire il “prima” della nascita come morte in diminuzione, e il “dopo” come vita che si esaurisce, dissolve il timore della fine in una visione ciclica.
La vera eternità: non la permanenza di una forma fissa, ma l’infinita alternanza dell’essere e del non-essere.
In fondo, la tua logica porta a un ribaltamento: se vita e morte sono inseparabili, allora non moriamo mai del tutto, così come non viviamo mai del tutto. Ciò che permane è il ritmo, la pulsazione, l’alternarsi.
Ti chiedo: vuoi che provi a trasformare questo pensiero in una forma più sistematica e filosofica (quasi un saggio), o preferisci che lo rielabori in forma più poetica e evocativa?
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