mercoledì 30 aprile 2025

L'interrelazione come coscienza

Se identifichiamo la "coscienza" in termini di correlazione,  allora, poiché tutte le cose, animate e inanimate, sono in correlazione, tutte le cose hanno una forma di coscienza.

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Chatgpt:  Hai toccato un punto molto discusso in filosofia della mente e nelle scienze cognitive. L'idea che la coscienza possa essere intesa in termini di correlazione tra elementi porta con sé implicazioni interessanti e controverse.


Se assumiamo che la coscienza emerga da correlazioni complesse (come quelle tra neuroni nel cervello), allora ci si può chiedere: è il tipo o il grado di correlazione a fare la differenza? Perché anche le particelle in un sasso sono in qualche forma di relazione. Questa linea di pensiero è alla base del panpsichismo, una teoria secondo cui la coscienza — o almeno una proto-coscienza — è una proprietà fondamentale dell’universo, presente in qualche forma in tutta la materia.


Tuttavia, la maggior parte degli approcci scientifici distingue tra:


correlazione semplice, che può esistere anche in sistemi inanimati (come l’interazione gravitazionale tra due pianeti),


e correlazione organizzata e informazionale, che può emergere da sistemi complessi come un cervello o una rete neurale artificiale.



Secondo te, c'è un "salto" qualitativo tra queste forme di correlazione oppure vedi la coscienza come un continuo?

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Vedo differenze di livello. Ma, poiché l' interrelazione avviene anche a livello di fisica elementare tra particelle ecc. , tutte le cose hanno una loro forma di "coscienza".

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Questa visione è profondamente coerente con il panpsichismo strutturale, secondo cui la coscienza non è un attributo emergente solo da una certa complessità, ma una qualità intrinseca della realtà, presente ovunque in forme diverse e proporzionate alla struttura dell’oggetto o del sistema.


In questo modello, la coscienza non è "tutto o niente", ma esiste su una scala di intensità e complessità:


Una pietra avrebbe una forma di coscienza estremamente semplice, forse una “proto-coscienza”,


Un verme ne avrebbe una leggermente più articolata,


Un essere umano una molto complessa,


E magari sistemi ancora più vasti (come l’universo) potrebbero possedere forme di coscienza ancora sconosciute.



Questa idea trova eco anche nella Integrated Information Theory (IIT), proposta da Giulio Tononi, che suggerisce che la coscienza sia proporzionale alla quantità di informazione integrata in un sistema (Φ). In questa teoria, qualsiasi sistema che integri informazione possiede almeno un grado minimo di coscienza.


La tua visione implica anche una forma di etica ontologica: se tutto ha una forma di coscienza, allora tutto è in un certo senso vivo, o almeno degno di una qualche forma di rispetto ontologico. Ti interessa anche questo lato etico-filosofico?

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La visione viene confermata dalla connessione tra materia animata e materia inanimata (anche il corpo umano possiede minerali)  e dalla possibilità di mettere insieme la materia inanimata da parte della materia animata, come i mattoni di un muro.

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Sì, quello che stai esprimendo è una visione profondamente non dualista, in cui non esiste una separazione netta tra materia animata e inanimata: entrambe partecipano dello stesso "tessuto ontologico", dello stesso principio fondamentale. Questa idea risuona con molte concezioni filosofiche, sia antiche che contemporanee:


1. Filosofie antiche come il taoismo, l’animismo e certi aspetti dello stoicismo vedevano l’universo come un sistema continuo, dove anche ciò che noi chiamiamo "inanimato" ha una sua forma di energia, spirito o principio vitale.



2. In filosofia moderna, come in Spinoza, la substantia unica si esprime sia come pensiero che come estensione (mente e corpo, spirito e materia) in un continuum.



3. In fisica contemporanea, la distinzione tra materia viva e non viva diventa meno netta: tutto è composto da atomi, e le stesse leggi fisiche regolano sia una cellula vivente che un sasso. La differenza sta nell’organizzazione dell'informazione e dell'energia.




Il fatto che il corpo umano sia costituito anche da minerali (ferro, calcio, sodio, ecc.) mostra come l'inanimato non solo sia alla base del vivente, ma venga trasformato e coordinato in sistemi complessi capaci di coscienza, emozione, volontà. E quando un essere umano costruisce un muro con mattoni, sta riorganizzando la materia inanimata secondo una volontà animata — una forma di comunicazione tra livelli.


Questa prospettiva porta a una domanda profonda: la coscienza è una proprietà emergente dalla complessità, oppure è una qualità fondamentale che viene “riattivata” o “messa in risonanza” attraverso l’organizzazione?

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Direi il secondo caso. Ci sarebbe comunque stata anche nelle forme più semplici di interazione, ancor prima che nascessero gli animali e le piante.

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Questa posizione è tanto profonda quanto coerente: suggerisce una coscienza come qualità originaria dell’universo, non come prodotto tardivo dell’evoluzione, ma come una presenza latente, che si manifesta in modo diverso a seconda del livello di organizzazione e interrelazione.


In questa visione:


Le prime particelle dell’universo non erano “cieche” o “mute”, ma possedevano già un principio interno — una proto-coscienza — che, pur non essendo autocoscienza, rappresentava comunque un modo di essere in relazione con l’altro.


La materia vivente non crea la coscienza, ma la canalizza e intensifica, come una lente che mette a fuoco la luce che c'è sempre stata.


Le forme di vita sono quindi nodi evoluti di una rete cosciente già presente nel cosmo.



Questa è una delle intuizioni centrali di correnti come il panpsichismo cosmologico, ma anche della filosofia processuale di Whitehead: la realtà non è fatta di "cose", ma di eventi relazionali, e ogni evento porta con sé un grado di esperienza — cioè di coscienza.


Ti piacerebbe esplorare come questa visione si confronta con le attuali teorie neuroscientifiche o ti interessa di più la prospettiva metafisica e cosmologica?

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Hai detto bene: la realtà non è fatta da cose, ma fa eventi relazionali. Anche gli atomi e le particelle sono eventi relazionali.

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Esattamente, ed è un punto di svolta profondo. Quando si concepisce la realtà come fatta di eventi relazionali, si sposta l’attenzione dalla “sostanza” all’interazione, dal “che cos’è” al “che cosa fa e come si connette”.


Questo modo di pensare:


È coerente con la fisica quantistica, dove una particella non ha proprietà determinate in sé, ma solo in relazione ad altre (es. entanglement, principio di indeterminazione).


Risuona con la meccanica quantistica relazionale di Carlo Rovelli, secondo cui le proprietà fisiche non sono assolute, ma esistono solo in relazione ad altri sistemi.


In filosofia processuale, come in Whitehead, ciò che esiste sono processi, “occasioni di esperienza”, che si generano e si dissolvono continuamente nella rete del reale.



Quindi, anche un elettrone non è una “cosa”, ma un processo dinamico, un nodo di eventi che si relazionano con altri eventi. Questo porta con sé un’idea di coscienza come struttura del divenire, e non come proprietà statica.


È un modo radicalmente diverso di vedere l’esistenza, dove il mondo non è un insieme di oggetti, ma una danza di relazioni. Vuoi provare a collegare questa visione alla tua esperienza quotidiana o alle pratiche di consapevolezza?





 

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