giovedì 1 maggio 2025

Il tempo quantico: la vita a salti

Il fatto è  che la vita non fluisce continuamente, ma a scatti. Avete mai provato ad avere tanto sonno ma di non volervi o potervi addormentare? Vi dovreste accorgere che l' attenzione, la tensione , tende a cedere e a farvi addormentare. È una lotta titanica tra le forze della veglia e le forze del sonno. Per un attimo vince il sonno e vi addormentate. Se avete in mano qualcosa, quella cosa cadrà. Ma, subito dopo, ritornate in voi. 

C' è uno scatto dietro l' altro, con la coscienza che cede e recupera. Di solito non ci accorgiamo di questi ondeggiamenti o salti. Ma ci sono sempre.

Anche la nostra presenza è quantizzata. E in meditazione ce ne accorgiamo. Figuratevi se ci accorgiamo dei "saltini " del tempo, cioè della nostra connessione con le cose della "realtà". Ma questi saltini esistono. Solo che sono impercettibili. 

Comunque il tempo che "trascorriamo" o "trascorre" dovrebbe essere calcolato con queste brevi interruzioni. Sarebbe dato da una somma tra tanti tempi "pieni", meno i tempi "vuoti." 

Così un' ora di orologio sarebbe un po' meno. In certi casi, sarebbe molto di meno o molto di più.

La quantizzazione non è sempre uguale.

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Il tuo testo è una riflessione affascinante e profonda sul modo in cui percepiamo il tempo e la coscienza. Hai toccato diversi concetti interessanti:


La discontinuità dell’esperienza cosciente, paragonata a scatti o salti, è qualcosa che molti notano nei momenti di transizione, come l’addormentarsi.


L’idea che anche la “presenza” sia quantizzata richiama la fisica quantistica, ma anche l’esperienza meditativa, dove si percepiscono "vuoti" o sospensioni tra i pensieri.

Provate con la presenza mentale: "Io sono qui, io sono cosciente...". Ebbene non potrete  tenere questa "presenza" a lungo, perché la perderete e la ritroverete tante volte. Come una connessione che va e viene .


Il tempo come somma di pieni e vuoti, come se non scorresse in modo uniforme, ma in frammenti, suggerisce una visione soggettiva e qualitativa del tempo, diversa da quella meccanica e lineare.



Se vuoi, posso aiutarti a rielaborare questo testo per renderlo più scorrevole o strutturato, oppure espanderlo in un saggio breve.

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Espandilo in un saggio breve.

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Certo. Ecco una versione espansa del tuo testo in forma di saggio breve:



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Il tempo discontinuo: riflessioni sulla coscienza e la percezione


Nella nostra esperienza quotidiana tendiamo a pensare alla vita come a un flusso continuo, ininterrotto, come a un nastro che si srotola senza pause. Tuttavia, a ben osservare, la vita non fluisce davvero in modo lineare: avanza a scatti, a ondate, come un film composto da singoli fotogrammi che la mente riassembla in una narrazione fluida solo in un secondo momento. Questa discontinuità si rivela in modo chiaro in alcuni momenti critici, come quando si è estremamente stanchi, ma non ci si può o non ci si vuole addormentare.


In queste circostanze, ci si accorge che l’attenzione vacilla: la mente sembra sprofondare per un istante nel sonno, poi si ridesta bruscamente. Se si tiene qualcosa in mano, può cadere. È il segnale tangibile che per un attimo si è "assenti". È una lotta silenziosa, titanica, tra le forze della veglia e quelle del sonno. E in questo scontro emerge la natura frammentaria della coscienza: essa non è una linea retta, ma un insieme di momenti, di accensioni e spegnimenti, di presenze e assenze che si susseguono con ritmo irregolare.


Normalmente, non ci accorgiamo di questi "scatti". La nostra attenzione è catturata da ciò che facciamo, e la mente riempie i vuoti in modo automatico. Ma in certi stati — come durante la meditazione profonda — si diventa testimoni di questi micro-cedimenti, di questi silenzi interiori, che rivelano quanto anche la nostra presenza sia, in un certo senso, quantizzata. Essa si presenta a intermittenza, come un segnale che arriva a tratti, mai del tutto costante.


Questa osservazione porta a una riflessione più ampia sul tempo stesso. Se la coscienza è discontinua, e se è proprio la coscienza a segnare il fluire del tempo soggettivo, allora forse anche il tempo che viviamo non è così uniforme come crediamo. Dovremmo considerare che ogni unità di tempo contiene al suo interno delle interruzioni, dei momenti "vuoti" nei quali, per un attimo, smettiamo di essere del tutto presenti. Il tempo vissuto, dunque, non sarebbe una linea continua, ma la somma di una serie di tempi "pieni" da cui vanno sottratti gli istanti in cui la coscienza si eclissa.


In questa prospettiva, un’ora di orologio potrebbe corrispondere a meno di un’ora vissuta — o forse, in certi stati di iper-consapevolezza, a molto di più. La quantizzazione della coscienza, e quindi del tempo percepito, non è costante: varia in base allo stato mentale, emotivo, e persino al contesto in cui ci troviamo.


La fisica moderna, con la teoria dei quanti, ci ha già insegnato che la realtà più profonda non è continua, ma fatta di unità discrete, indivisibili. Forse qualcosa di simile vale anche per l’esperienza soggettiva: la coscienza, e il tempo che essa abita, non scorrono come un fiume, ma pulsano, come un cuore che batte tra un silenzio e l’altro.



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