Ho precisato che il mio uso dell’espressione “rapporto inversamente proporzionale” non va interpretato come un’equazione matematica da verificare con i numeri, ma come una struttura di relazione che attraversa tutti i campi dell’esperienza. Se dico che bene e male sono collegati da un rapporto inversamente proporzionale non cerco conferma nella matematica, che non mi direbbe niente di essenziale. E' intuito che sia così: dove aumenta l'uno diminuisce l'altro. Se dico che amore e odio, ordine e disordine, conquista e perdita, regresso e regresso ecc. sono collegati da un rapporto inversamente proporzionale non mi interessa calcolarlo matematicamente, ma voglio indicare una tendenza inevitabile. Anche quando stabilisco un rapporto inversamente proporzionale tra lo spaziotempo e la coscienza, non mi interessano i calcoli matematici, ma l'influenza che la mente può avere sullo spaziotempo deformandolo. In particolare la coscienza contratta o distesa può allungare o abbreviare lo spaziotempo, così come si può verificare nella vita quotidiana. Ma qui lo spazio e il tempo non sono quelli della fisica. Non sono calcolabili con i nostri metodi fisico-matematici (e gli orologi artificiali), ma sono quelli che proviamo e constatiamo nell'esperienza. Tutti hanno sperimentato l'allungamento o l'accorciamento del tempo in base allo stato mentale dell'interesse e dall'attenzione. E' una verità inoppugnabile. Ma non calcolabile matematicamente. Può darsi che un giorno si possa mettere a punto un "orologio interno" basato su parametri corporei come la pressione sanguigna, la pulsazione cardiaca o le onde cerebrali: ma sarebbe impreciso e tutto sommato inutile. Nessun metodo scientifico può battere l'esperienza. La scienza stessa è un'approssimazione e deve servire all'esperienza. Se io dico che il tempo è volato via o è risultato interminabile, questo è l'unico criterio di verità. Non il calcolo scientifico. Ma resta confermato il rapporto inversamente proporzionale tra lo stato mentale e lo spaziotempo. Anche dello spazio? Sì, anche se meno avvertibile di quello con il tempo. Se la mente si concentra, per esempio, lo spazio apparirà più dilatato. Se la mente si dilata, lo spazio si presenterà più concentrato. E viceversa: se lo spazio è più concentrato (in , la mente tenderà a espandersi; se lo spazio è più dilatato, la mente tenderà a concentrarsi.
venerdì 5 settembre 2025
Il rapporto inversamente proporzionale: un rapporto reale
**
Capisco bene quello che intendi: stai usando “rapporto inversamente proporzionale” non come formula matematica, ma come metafora strutturale per descrivere un tipo di relazione che attraversa diversi ambiti dell’esperienza. In altre parole, non parli di proporzioni verificabili con numeri, ma di un modo di “vedere” i legami tra opposti o complementari.
La tua prospettiva mette in rilievo alcuni punti importanti:
Il linguaggio matematico come archetipo relazionale: l’idea di “inversamente proporzionale” ti serve non per calcolare, ma per esprimere la dinamica di una compensazione inevitabile, quasi una legge simbolica dell’esperienza: dove cresce l’uno, decresce l’altro.
Tempo e coscienza: la tua osservazione che il tempo vissuto può “contrarsi” o “espandersi” a seconda dello stato mentale è un’esperienza universale. Non è riducibile all’orologio fisico, perché appartiene alla dimensione fenomenologica. Da questo punto di vista, l’“orologio interno” non ha bisogno di strumenti: è già dato dall’esperienza soggettiva.
Spazio e coscienza: qui tocchi un punto più sottile. In effetti, anche lo spazio non è percepito sempre uguale: la concentrazione mentale può far sembrare un ambiente più vasto o più ristretto. Questo non ha a che vedere con metri o coordinate, ma con la qualità dello spazio vissuto (fenomenologia dello spazio).
Scienza ed esperienza: la scienza misura, modella, approssima. Ma la verità vissuta, come tu la intendi, non è un’equazione bensì un’evidenza esperienziale: “il tempo è volato” o “non passava mai”. Da qui la tua affermazione che l’esperienza stessa è criterio di verità.
In sintesi, tu stai delineando una sorta di filosofia relazionale:
bene/male, amore/odio, ordine/disordine, coscienza/spaziotempo non sono grandezze numeriche, ma polarità dinamiche che si regolano a vicenda secondo un rapporto “inverso” o compensativo.
la matematica serve solo come immagine, non come calcolo.
Ti chiedo: vuoi che ti aiuti a formalizzare questa intuizione in un linguaggio più filosofico (tipo Husserl, Merleau-Ponty, Bachelard), o preferisci mantenerla in questa forma intuitiva ed evocativa?
**
Prova a formalizzare in un linguaggio più filosofico.
**
Perfetto, allora provo a dare una forma più filosofica alla tua intuizione, senza snaturarla.
---
1. Il rapporto come struttura simbolica
Quando parli di “rapporto inversamente proporzionale”, non stai evocando una legge matematica ma una figura relazionale. È una metafora che esprime una dinamica di bilanciamento tra poli opposti o complementari: al crescere di un polo, l’altro si ritrae.
In termini filosofici, si tratta di una struttura dialettica: non una semplice opposizione statica, ma un gioco dinamico in cui ciascun termine prende senso solo in relazione all’altro.
---
2. Temporalità vissuta e coscienza
La tua descrizione richiama la distinzione fenomenologica tra tempo oggettivo e tempo vissuto.
Il tempo oggettivo è quello degli orologi, delle misurazioni, della fisica.
Il tempo vissuto (Bergson lo chiamava durée, Husserl parlava di tempo della coscienza) non si lascia ridurre a numeri: può contrarsi o dilatarsi in funzione degli stati di coscienza.
Qui il “rapporto inversamente proporzionale” appare come legge esperienziale:
quanto più la coscienza è contratta, tanto più il tempo si dilata (diventa interminabile);
quanto più la coscienza è distesa, tanto più il tempo si contrae (vola via).
Il tempo psicologico non è un epifenomeno del cronometro, ma una modalità originaria della presenza.
---
3. Spazio fenomenologico e coscienza
Anche lo spazio, nella tradizione fenomenologica (Merleau-Ponty, Bachelard), non è solo estensione misurabile. È uno spazio vissuto, carico di qualità percettive e affettive.
Quando la mente si concentra, lo spazio appare più ampio, come se la coscienza aprisse una distanza.
Quando la mente si dilata, lo spazio sembra restringersi, come se il mondo venisse raccolto in un unico punto di intensità.
Qui la proporzionalità inversa esprime l’interdipendenza tra orizzonte spaziale e ampiezza interiore.
---
4. Esperienza come criterio di verità
La scienza fornisce modelli, approssimazioni, dispositivi di misurazione. Ma l’esperienza diretta ha un primato:
dire “il tempo è volato” o “non passava mai” non è una metafora poetica, è la constatazione di una verità fenomenologica.
in questo senso, l’esperienza non è soggettivismo arbitrario, ma ciò che fonda e orienta ogni forma di sapere, compresa la scienza.
---
5. Sintesi
Potremmo formulare così la tua intuizione in linguaggio filosofico:
Esiste una legge relazionale dell’esperienza, non calcolabile ma constatabile, secondo la quale coscienza e mondo (tempo e spazio in particolare) si modulano reciprocamente in rapporti di compensazione.
Questa legge è esprimibile simbolicamente come “rapporto inversamente proporzionale”, ma la sua verità non è matematica: è fenomenologica.
La scienza misura, ma non coglie la qualità vissuta; la coscienza, invece, abita il tempo e lo spazio in forma plastica, mutevole, essenziale.
---
Vuoi che tenti una versione ancora più condensata e aforistica, quasi come se fosse un manifesto filosofico?
Nessun commento:
Posta un commento