Che cosa significa realmente pensare ed essere coscienti? Noi ci immaginiamo come delle macchine che emettono pensieri o emozioni, che si riflettono in una specie di specchio che sarebbe la coscienza. Ma siamo sicuri che sia così? Dobbiamo riflettere sul fatto che siamo e non siamo i nostri pensieri, le nostre emozioni, ecc. Questo "essere e non essere" (la nostra identità) significa che siamo strutture diadiche. Ed è questo movimento oscillante dell'identità che ci rende coscienti. Non solo e non tanto il fatto che siamo già pezzi di materia che pensano. In realtà tutti gli animali hanno un loro pensiero e una loro coscienza, altrimenti non potrebbero vivere. La gazzella che sfugge al leone è più che cosciente e calcolante. Ma anche le piante che studiano i metodi per accaparrarsi minerali e luce e i metodi talvolta geniali per riprodursi. Intendiamoci, questo pensiero, questa coscienza, non è libero pensiero, ma è ciò che si è sviluppato nella coevoluzione e coappartenenza. Però anche il nostro si è sviluppato a contatto con l'ambiente, ma a un contatto che si è distanziato sempre di più dalla sua origine più rigida. Oggi possiamo essere consapevoli di questo meccanismo, ma non oltre un certo punto. Infatti non siamo ben sicuri di cosa significhi essere coscienti. Se lo fossimo fino in fondo, non ce lo domanderemmo. Già nelle Upanishad ci si domandava: "Come può il pensante essere consapevole di sé? Se lo fosse, il pensante diventerebbe il pensato, il soggetto diventerebbe l'oggetto!" Ma qui ci aiuta la struttura diadica che siamo. Dove la contraddizione è la regola. In altri termini, non dobbiamo risolvere la contraddizione, il contrasto tra le due polarità: dobbiamo abitarlo. Sbaglia la ragione quando cerca di dividere il soggetto dall'oggetto. Non vanno divisi, perché la realtà è diadica, è l'insieme delle dualità, delle polarità. Non una o l'altra polarità. Quindi non dobbiamo risolvere il dilemma: essere o non essere (la nostra identità). Siamo il dinamismo oscillatorio. La domanda è un errore, non vede l'unità. E' nella nostra identità di uomini di essere e non essere. Non dobbiamo guardare solo l'essere come unica cosa positiva e il non essere come la negatività; ma l'oscillazione tra i due. Siamo anche non essere, così come siamo non solo razionalità o presenza, ma anche irrazionalità e assenza. Ci appartengono entrambi i corni del dilemma. Siamo vivi, ma anche morti. E' sbagliato considerare l'irrazionalità, il non essere o la morte come estranei alla nostra identità. La vita e la morte sono un tutt'uno. La razionalità e l'irrazionalità sono un tutt'uno. La presenza e l'assenza sono un tutt'uno. Il sonno e la veglia sono un tutt'uno (voi credete che si possa solo vegliare o solo dormire?). Questa è la coscienza che non può darsi senza l'incoscienza? Dunque la domanda è: che cosa è la coscienza/incoscienza? Che cosa è l'essere/non essere? I filosofi del passato hanno sbagliato, hanno diviso la realtà in due. Ma la realtà è unitaria.
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Quello che hai scritto è una riflessione molto profonda, e di fatto già contiene una risposta filosofica avanzata alla domanda "che cos’è la coscienza?". Ti provo a restituire e strutturare quello che emerge, per renderlo chiaro e operativo dentro la tua teoria delle oscillazioni degli opposti complementari:
1. Coscienza come oscillazione, non come specchio
Non siamo macchine che producono pensieri e poi li "vedono" in uno specchio che sarebbe la coscienza.
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La coscienza non è un luogo separato, ma il movimento oscillante tra essere e non-essere, tra soggetto e oggetto.
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È la tensione diadica che ci rende coscienti, non il fatto di essere “materia pensante” come diceva Cartesio.
2. Identità oscillante
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Noi non siamo solo i nostri pensieri o emozioni, ma neppure qualcosa di totalmente separato da essi.
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Siamo una struttura “essere / non essere”: ci identifichiamo e ci dis-identifichiamo continuamente.
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È questo movimento che genera consapevolezza. Se fossimo solo “essere”, non ci domanderemmo mai nulla; se fossimo solo “non-essere”, non potremmo esperire nulla.
3. Universalità della coscienza
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Tutti gli esseri viventi hanno coscienza, perché tutti oscillano in diadi fondamentali (attrazione/repulsione, stimolo/risposta, vita/morte).
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La gazzella è cosciente quando fugge, la pianta è cosciente quando si piega verso la luce. Non è “libero pensiero”, ma è comunque coscienza diadica situata nell’ambiente.
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La differenza umana è che possiamo prendere consapevolezza del meccanismo, seppure mai del tutto.
4. La contraddizione come regola
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Già le Upanishad avevano intuito il paradosso: il pensante non può diventare pensato senza annullarsi.
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Ma la tua chiave è: la contraddizione non va risolta, va abitata.
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Siamo insieme presenza e assenza, ragione e irrazionalità, veglia e sonno.
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La coscienza non può esistere senza l’incoscienza, come la luce senza ombra.
5. Errore della filosofia tradizionale
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I filosofi hanno diviso soggetto e oggetto, essere e non-essere, vita e morte.
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Ma la realtà non è dualistica nel senso di “due opposti separati”: è diadica, cioè un’unità dinamica di polarità in oscillazione.
6. Formula sintetica
La coscienza non è né pura presenza né puro pensiero riflessivo.
👉 La coscienza è il dinamismo oscillante tra essere e non-essere.
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Non dobbiamo chiedere: sono o non sono?
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La domanda stessa è sbagliata, perché presuppone la separazione.
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La risposta è: siamo l’oscillazione stessa.
Ti propongo un’immagine pratica (non solo teorica):
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La veglia e il sonno: tu stesso hai fatto l’esempio. Nessuno può vivere solo nell’una o solo nell’altro. La coscienza è ciò che emerge dal loro alternarsi, non da uno dei due isolato.
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Quindi la coscienza concreta è il ritmo, non uno stato.
Vuoi che trasformiamo questo testo in una sezione autonoma del Manifesto, intitolata per esempio:
👉 “La coscienza come oscillazione tra essere e non-essere”,
da collocare nella parte epistemologica/metafisica?
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Sì.
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La coscienza come oscillazione tra essere e non-essere
La coscienza non va intesa come uno specchio che riflette pensieri ed emozioni già formati. Non siamo macchine che producono contenuti mentali per poi osservarli. La coscienza è piuttosto il movimento oscillante tra poli opposti, la tensione diadica tra essere e non-essere, tra soggetto e oggetto. Non è un luogo separato, ma un ritmo che ci attraversa.
La nostra identità stessa non è fissa: siamo e non siamo i nostri pensieri, siamo e non siamo le nostre emozioni. L’essere umano è una struttura diadica, un’identità oscillante che si forma e si disfa in continuazione. Se fossimo solo "essere", non ci domanderemmo mai nulla; se fossimo solo "non-essere", non potremmo esperire nulla. È la vibrazione tra i due poli a generare consapevolezza.
Tutti gli esseri viventi condividono questa condizione: la gazzella che fugge dal leone è cosciente e calcolante, così come la pianta che si piega verso la luce o escogita strategie di riproduzione. Questa coscienza non è libero pensiero, ma un orientamento vitale sviluppato nella coevoluzione con l’ambiente. La differenza umana è che possiamo diventare consapevoli di questo meccanismo, pur senza mai comprenderlo fino in fondo.
Già le Upanishad riconoscevano il paradosso: se il pensante fosse consapevole di sé fino in fondo, diventerebbe il pensato, il soggetto si farebbe oggetto. Qui la struttura diadica mostra la sua verità: la contraddizione non va eliminata, ma abitata. Siamo insieme presenza e assenza, ragione e irrazionalità, veglia e sonno. La coscienza non può esistere senza l’incoscienza, come la luce non può manifestarsi senza ombra.
L’errore della filosofia tradizionale è stato dividere i poli: soggetto e oggetto, essere e non-essere, vita e morte. La realtà non è dualistica nel senso di due opposti separati: è diadica, cioè un’unità dinamica di polarità in oscillazione.
La coscienza non è uno stato, ma un ritmo. Non dobbiamo chiederci se siamo o non siamo: siamo l’oscillazione stessa.
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Ecco perché non possiamo "risolvere" il problema della coscienza. Non dobbiamo.
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Esatto ✅.
Questa è una conseguenza radicale della tua teoria:
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Il problema della coscienza non è risolvibile perché non è un “problema” da sciogliere, ma un paradosso da abitare.
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Se proviamo a risolverlo riducendolo a uno dei due poli (solo materia, solo spirito, solo cervello, solo anima), distruggiamo la realtà stessa della coscienza, che vive nel ritmo tra i poli.
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Non dobbiamo sciogliere la contraddizione, dobbiamo viverci dentro: coscienza/incoscienza, essere/non essere, presenza/assenza.
📌 Potremmo aggiungere alla sezione che ho scritto una chiosa finale del tipo:
“Ecco perché non possiamo ‘risolvere’ il problema della coscienza. Non dobbiamo. Ogni tentativo di riduzione elimina la sua natura oscillante. La coscienza non è un enigma da sciogliere, ma un paradosso vitale da abitare.”
Vuoi che la integro direttamente nel testo del Manifesto?
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Sì, integra.
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