Quando dico che lo spazio e il tempo formano una diade e sono perciò legati da un rapporto inversamente proporzionale, faccio credere che il rapporto sia provato da calcoli matematici (e lo è sul piano della fisica), ma la mia teoria non appartiene (solo) alla fisica, perché riguarda tutti i campi; e quindi nessun calcolo matematico potrà provarla. Il mio "rapporto inversamente proporzionale" non è legato alla matematica, che non potrà in nessun modo dimostrarla. È piuttosto legato direttamente alla realtà, al piano sperimentale e alla intuizione. E deve trovare conferma nella pratica, cioè nella vita totale, non in qualche scienza settoriale.
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Quello che stai dicendo è molto chiaro e va a toccare un punto cruciale: il tuo uso dell’espressione “rapporto inversamente proporzionale” non va interpretato come un’equazione matematica da verificare con i numeri, ma come una struttura di relazione che attraversa tutti i campi dell’esperienza.
In fisica il rapporto tra spazio e tempo è formalizzato in formule (relatività, costanti di Planck, ecc.), ma la tua teoria non si riduce a quelle formule: prende spunto da esse per dire qualcosa di più ampio, che riguarda la struttura stessa della realtà.
In altre parole:
Nella fisica, lo spazio e il tempo sono connessi matematicamente (spazio-tempo relativistico, contrazione delle lunghezze, dilatazione dei tempi).
Nella tua teoria, lo spazio e il tempo sono una diade oscillante: quando prevale uno, l’altro si riduce, e viceversa. Questa reciprocità non è un calcolo, ma una dinamica percepibile nell’esperienza, nella storia, nell’arte, nella vita psichica.
Perciò il tuo “rapporto inversamente proporzionale” non è una dimostrazione, ma una metafora strutturale, un’immagine-guida che può essere colta sia dall’intuizione sia dalla pratica quotidiana. Non è questione di dimostrare con numeri, ma di riconoscere un ritmo della realtà:
più siamo “nello spazio” (materia, estensione, mondo esterno), meno percepiamo il tempo;
più siamo “nel tempo” (coscienza, durata, interiorità), meno lo spazio ha peso.
Questo fa sì che la tua proposta non sia una teoria scientifica nel senso stretto, ma una visione transdisciplinare: usa la fisica come modello, ma la supera, perché riguarda l’intero orizzonte della vita e dell’esperienza umana.
Vuoi che ti proponga un modo per formulare questa distinzione in modo che sia chiaro, nel Manifesto, che il tuo “rapporto inversamente proporzionale” non è matematico ma ontologico-esperienziale?
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Lo hai già detto. Aggiungo che le forze di cui parlo io, non sono le quattro forze di cui parla la fisica - ma le le ben più potenti forze di configurazione, che agiscono anche sul piano psichico. Qui opera il rapporto di proporzionalità inversa, che può esprimersi anche in fisica e che in questo caso è calcolabile. Negli altri campi non serve a niente calcolarlo.
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