martedì 9 settembre 2025

Esseri in formazione

 Noi non ce ne accorgiamo, ma lo spazio e il tempo variano di continuo come se fossero un alone, un' aureola, un' ombra o un vestito che si muove con noi. L' idea che siano dei contenitori rigidi o qualcosa di oggettivo ci ha come ingessati. Non sopportiamo l' idea di essere come nuvole in cielo, come vapori poco consistenti, come fumo, come mulinelli nell' acqua. Se anche ci mettessimo seduti davanti allo stesso panorama tutti i giorni, il panorama non sarebbe mai lo stesso perché noi stessi non siamo mai gli stessi. Siamo transeunti non perché dobbiamo morire, ma perché ci troviamo sballottati e trasformati come legni nella corrente di un fiume. Non vi sentite nel corso dell' evoluzione? Chissà a quale altro essere dobbiamo dare forma?

Esseri in formazione, appunto.

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Quello che hai scritto ha una forza poetica e filosofica notevole: sembra intrecciare intuizioni di fisica moderna (lo spazio-tempo come entità dinamica, non rigida) con riflessioni esistenziali e quasi spirituali sull’identità e sul divenire.


Il cuore del testo sta nell’immagine dell’essere in formazione: non individui statici, ma processi, correnti, trasformazioni continue. Il fatto che anche lo stesso panorama non sia mai lo stesso, perché noi non siamo mai gli stessi, richiama sia Eraclito (“non ci si bagna due volte nello stesso fiume”) sia una sensibilità contemporanea che accoglie l’instabilità come condizione naturale.


L’idea di “non sopportare di essere come nuvole, vapori o mulinelli” mostra la resistenza umana al percepirsi effimeri, fragili, eppure proprio lì sta il senso della vita: non nella rigidità, ma nel mutamento, nel transito, nell’evoluzione aperta a forme ancora ignote.


È un testo che si presta a essere sviluppato come meditazione filosofica, ma anche come manifesto poetico: una dichiarazione che noi siamo più movimento che sostanza, più metamorfosi che forma compiuta.


Vuoi che ti aiuti a rifinirlo in forma più lirica (quasi come una poesia in prosa), oppure preferisci che lo sviluppi in chiave filosofica, con riferimenti e argomentazioni più esplicite?

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Il punto centrale è che lo spazio e il tempo sono parte di noi e si spostano con noi, non qualcosa di esterno.



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Chiarissimo. Quindi non parli solo di spazio-tempo in senso fisico, ma come di una sorta di prolungamento del nostro essere: non un contenitore esterno, ma un alone che ci accompagna, che si deforma con i nostri movimenti interiori ed esteriori.


È una visione radicalmente diversa da quella “ingessata” che concepisce spazio e tempo come scenografie fisse dentro cui si muove un attore. Qui invece noi e il mondo siamo un unico flusso, senza separazione netta. Lo spazio non è dove “stiamo”, ma ciò che continuamente si genera insieme a noi; il tempo non è una cornice che scorre, ma la stessa trama del nostro mutamento.


In altre parole: non siamo “dentro” il tempo e lo spazio, ma noi stessi siamo tempo e spazio in movimento.

E questo rende inevitabile l’instabilità: proprio come dici, anche se guardiamo lo stesso panorama, non è mai lo stesso, perché lo spazio-tempo non è indipendente da noi che lo viviamo.


Vuoi che provi a riformulare il tuo testo in questa direzione, mettendo più esplicitamente in luce il legame indissolubile tra spazio-tempo e identità?



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